In un anno è come se fosse scomparsa una città come Firenze. È questa l’immagine scelta dall’Istat nel rapporto sull’impatto della pandemia sulla popolazione nel 2020, per disegnare quella che è una vera e propria catastrofe demografica. In Sardegna, invece, è come se fossero state cancellate Arzachena o Quartucciu. In Italia al 31 dicembre 2020 la popolazione residente è risultata inferiore di quasi 384 mila persone rispetto all’anno precedente per effetto di un saldo negativo tra nascite e morti non compensato dal saldo demografico. E lo scorso anno si è registrato, dopo quello del 2019, anche un minimo storico di nuove nascite dall’Unità d’Italia, comparabile solo, e non a caso, al 1918 l’anno di un’altra pandemia, la spagnola, che però si accompagnava alle fasi finali della prima guerra mondiale. La Sardegna, che con lo spopolamento fa i conti da molto tempo, per quanto riguarda le nascite indossa la maglia nera con meno di un figlio per donna. Ed è negativo anche il saldo migratorio perché il numero degli emigrati supera quello degli immigrati. Risultato: al 31 dicembre 2020 si contano 13.396 sardi in meno rispetto all’anno precedente.

DRAGHI E PAPA FRANCESCO

Un’emergenza nazionale che ha visto nei giorni scorsi in prima linea, in contemporanea, il premier Mario Draghi e Papa Francesco che hanno partecipato agli Stati generali della natalità a Roma. I nuovi nati nel 2020 sono stati 404.104 con un ulteriore calo rispetto allo scorso anno. Il clima di incertezza per il futuro e l’età più avanzata al momento del primo figlio, a sua volta legata ai temi del lavoro e della precarietà, sono gli elementi principali individuati dall’Istat e anche quelli che sono balzati al centro dell’agenda politica. “Un'Italia senza figli è un'Italia che non crede e non progetta. È un'Italia destinata lentamente a invecchiare e scomparire. Il governo si sta impegnando su molti fronti per aiutare le coppie e le giovani donne”, ha detto Draghi che ha anche illustrato le misure immediate di sostegno ad iniziare dall’assegno unico universale. “Se le famiglie non sono al centro del presente, non ci sarà futuro; ma se le famiglie ripartono, tutto riparte": è l’incipit del discorso di papa Francesco che ha anche chiamato in causa il mondo dell’economia. “Come sarebbe bello – ha detto il Pontefice – veder crescere il numero di imprenditori e aziende che, oltre a produrre utili, promuovano vite, che siano attenti a non sfruttare mai le persone con condizioni e orari insostenibili, che giungano a distribuire parte dei ricavi ai lavoratori, nell'ottica di contribuire a uno sviluppo impagabile, quello delle famiglie!”.

IL FERTILITY GAP

C’è un indice che ci dice in maniera esatta che non avere figli, molto spesso, non è una libera scelta delle coppie e si chiama Fertility gap. Lo ha sottolineato lo stesso Draghi: “Le coppie vorrebbero avere più figli di quelli che effettivamente hanno. In Italia, questa differenza è molto ampia. Le coppie italiane vorrebbero in media due figli, ma ne hanno, sempre in media, meno di 1,5". Un  recente studio condotto dalle demografe Eva Beaujouan e Caroline Berghammer, ha comparato le intenzioni di fertilità di donne nate nei primi anni ’70 con i successivi tassi di fertilità intorno ai 40 anni in venti Paesi del mondo occidentale: in tutti i Paesi le donne hanno avuto meno figli di quanti ne desiderassero ma il maggiore divario di fertilità è nel sud Europa con Italia, Spagna e Grecia.  Il gap più basso, in Europa, è quello della Francia. Al tema delle culle vuote ha dedicato un rapporto anche Save the children con lo studio “Le equilibriste. La maternità in Italia 2020”. In Italia il tasso di fecondità è inchiodato a 1,29 figli per donna (1,26 nelle isole, meno di 1 in Sardegna) e il Bel Paese domina da anni la classifica internazionale della mamme più anziane con 32,1 anni in media alla nascita del primo figlio. Dato, questo, che rende più complicato programmare altre nascite. Secondo lo studio, gli obiettivi di fertilità delle donne sono condizionati dalla legislazione a sostegno della genitorialità, dalle politiche di conciliazione vita privata-professionale e dai livelli di occupazione. Tre punti sui quali si chiede l’impegno della politica.

Neo mamma con il neonato (foto archivio L'Unione Sarda)
Neo mamma con il neonato (foto archivio L'Unione Sarda)
Neo mamma con il neonato (foto archivio L'Unione Sarda)

L’INDICE DELLE MADRI: LA SARDEGNA

E se c’è un gap che divide l’Italia dagli altri paesi europei, ce n’è uno altrettanto importante tutto nazionale che vede Nord e Sud a due velocità. Per misurare l’efficacia delle politiche familiari Save the children ha adottato l’indice delle madri, che valuta le regioni che si impegnano di più a sostenere la maternità in Italia e vede ai primi posti le regioni del nord e in particolare le province autonome di Trento e Bolzano seguite da Valle d’Aosta ed Emilia Romagna. La Sardegna è, sul totale degli indicatori, quindicesima. Nell’area della cura, che analizza il tasso di fecondità oltre alla distribuzione dell’impegno familiare all’interno della coppia, è però ventesima e penultima. Occupa il 15esimo posto nella partecipazione delle donne al mondo del lavoro mentre una relativa buona notizia arriva del fronte dei servizi (percentuale dei bambini che frequentano la scuola dell’infanzia e presa in carico negli asili nido) dove l’Isola è undicesima, prima tra le regioni del sud. “C’è un miglioramento ma il gap al sud non è mai stato superato in nessuna delle tre aree”, dice Antonella Inverno, responsabile politiche per l’infanzia di Save the children, questo si traduce non solo in uno scarso riconoscimento dei bisogni e delle necessità delle donne che vogliono diventare madri ma anche dei diritti relativi allo sviluppo e all’educazione dei bambini e delle bambine”.

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