La posa della prima pietra, e di tutte le altre, risale a millenni fa e ora quelle pietre che diedero vita alla città, finalmente, si è ripreso a cercarle. Nell’area archeologica di Tharros la “caccia” all’antico regala giovinezza, ritrovata proprio nell’anno in cui le visite al sito abitato fin dai tempi dei Nuragici e poi da Fenici, Punici e Romani sono tornate su numeri lusinghieri. «Giugno, luglio, agosto e settembre di quest’anno sono del tutto paragonabili agli stessi mesi del 2019», cioè dell’ultimo anno in cui abbiamo vissuto senza il terrore del Covid-19 e nessuno parlava di virus. E nemmeno si poteva immaginare, che sarebbero arrivati tanti lutti oltre che restrizioni prima impensabili delle nostre libertà personali, oltretutto su scala planetaria.

Andrea Abis, sindaco di Cabras (nel cui territorio comunale ricade l’importante area archeologica) è più che soddisfatto, particolarmente dopo un 2020 difficilissimo proprio a causa della pandemia e delle sue chiusure. «Solo per quanto riguarda le presenze turistiche», aggiunge Abis, «nel periodo da giugno a fine settembre ne abbiamo contate ventunomila». Un dato incoraggiante, considerato che “presenza” – nel gergo del turismo – significa singolo pernottamento e che non tutte le strutture ricettive sono, per così dire, nel circuito ufficiale. C’è però da dire che le visite al sito di Tharros sono state assai di più, rispetto alle presenze ufficiali nel territorio del Sinis, malgrado non sia stato possibile quest’anno avere le scolaresche nella stessa misura in cui si erano viste fino al 2019. «Ma il passaggio dei beni storici e archeologici della zona alla Fondazione di Mont’e Prama, presieduta da Anthony Muroni, sono sicuro che porterà nuova linfa», è fiducioso il sindaco.

Intanto, ci sono giovani e preparati studenti che cercano l’antico, in una campagna di scavi che non si può definire “senza quartiere”, visto che è proprio un quartiere nuovo – nel senso di sconosciuto, ovviamente -  che gli studenti dell’Università di Bologna stanno cercando. Una zona mai esplorata nell’area archeologica del Sinis, nella quale non si è raschiato il suolo nemmeno con le dita ma che potrebbe regalare tanto. Si cerca ciò che è sepolto nella parte orientale del “Cardo maximus”, cioè il centro cittadino, dove tutto avveniva e si commerciava. Anna Chiara Fariselli, docente di archeologia fenicio-punica nell’Ateneo bolognese, è assai fiduciosa sui risultati che la nuova campagna di scavi sembra promettere. Altri scavi sono stati condotti di recente dalla Soprintendenza ai beni archeologici di Cagliari-Oristano, coordinati da Alessandro Usai, e poi ci sono le ricerche dell’Università cagliaritana dirette da Carla Del Vais.

Nel progetto ha un ruolo importante la Cooperativa “Penisola del Sinis” presieduta da Roberto Carrus, che lavora come guida – e con l’entusiasmo di chi parla di qualcosa che sente suo - tra le rovine archeologiche di quel gioiello che è Tharros, così come lo è Nora nella zona di Pula. «Se la pandemia da Covid-19 ce lo consentirà», conferma Carrus, «è prevedibile un nuovo boom dell’area archeologica del Sinis: stanno già arrivando le prenotazioni per il 2022 da parte delle scuole, che sono una fetta importante sotto tutti i profili per quest’area archeologica, e che devono essere particolarmente coccolate». Importante per i numeri, certo, ma anche per trasmettere l’amore verso un gioiello del passato remotissimo che rende la Sardegna speciale.

È stata un’estate assai ricca di visite guidate, i turisti sono riapparsi grazie alla pur provvisoria ritirata del coronavirus, che con la sua variante Delta aggiornata sta ora facendo il contrario, dando più di una preoccupazione a tutti i settori. In questo contesto, un’area archeologica non fa certo eccezione. E dalle scuole giungono richieste anche per itinerari naturalistici nella Penisola del Sinis, sempre incrociando le dita nella speranza che la risalita dei contagi possa presto avere un’importante inversione di tendenza. E che Tharros sia importante sotto tutti i profili, da quello storico ai riflessi turistici che regala all’economia della Sardegna, lo testimonia anche la visita nei mesi scorsi del ministro della Cultura, Dario Franceschini.

Certo, Tharros è splendida e importante, fermo restando che potrebbe esserlo assai di più, ma per questo occorrerebbero stanziamenti. La campagna di scavi dell’Università di Bologna è di fatto autofinanziata, ma servirebbero investimenti importanti con fondi statali, che invece non arrivano mai in misura sufficiente, men che meno in tempi di pandemia. Problema antico, anche se non quanto l’area archeologica, ma la campagna di scavi dell’Università bolognese ci mette una bella pezza anche perché la professoressa Anna Chiara Fariselli è una veterana: ha già coordinato trenta “operazioni” sul campo nell’area di Tharros. E mentre affiorano i primi oggetti millenari dal sottosuolo, lo sguardo resta rivolto anche al futuro: quello pandemico e quello legato ai finanziamenti per dare all’area archeologica del Sinis una dignità paragonabile a quella che ha già vissuto, peraltro mai pensando che oggi ce ne saremmo interessati così tanto.

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