Ogni due settimane nel mondo sparisce una lingua con il suo patrimonio culturale e identitario. Un trend molto preoccupante al punto che l’assemblea generale delle Nazioni Unite e l’Unesco hanno proclamato il 2022-2032 decennio internazionale delle lingue indigene. Iniziativa annunciata già nel 2019, anno dedicato alle lingue indigene. Dopo l’attenzione, pur importante nell’arco di quei 365 giorni, s’è posta la necessità di dare continuità adeguata di fronte a un’emergenza mondiale.

Secondo gli studiosi, infatti, delle settemila lingue attualmente note e quindi in qualche modo superstiti non meno della metà rischia l’estinzione entro la fine del secolo. Alcuni osservatori fanno previsioni più nefaste temendo la loro sparizione molto prima, con una velocità disarmante e forse inarrestabile. Nonostante gli idiomi attuali siano comunque numerosi, la maggioranza della popolazione mondiale infatti ne usa appena trenta esponendo tutti gli altri all’oblio: basta pensare alla forza delle lingue dominanti come l’inglese, il cinese e lo spagnolo. Così dopo l’anno dedicato arriva il decennio, un arco temporale ben più ampio per strappare all’oblio quel che si può e dare protezione a un patrimonio prezioso e fragile. In qualche caso basta la morte di un individuo per perdere tutto per sempre come è successo nel 2008 per la lingua degli Eyak oppure nel febbraio 2022 per quella yagan.

L’estinzione delle lingue non è problema confinato alle popolazioni indigene che, comunque, rappresentano 570 milioni di persone distribuite in 90 Stati. Cinquemila comunità con storia, usanze, lingua e identità proprie, ricordati ogni anno, il 9 agosto, con la giornata mondiale dei popoli indigeni proclamata dall’Onu nel 1994.

Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite (foto archivio L'Unione Sarda)
Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite (foto archivio L'Unione Sarda)
Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite (foto archivio L'Unione Sarda)

Per sensibilizzare su questa emergenza l’Unesco promuove in questi mesi all’Università Ca’ Foscari di Venezia alcune iniziative riunite nel progetto “Last Whispers: immersive oratorio for vanishing voices, collapsing universes and a falling tree”, curato all’artista e fotografa americana Lena Herzog. Il progetto è articolato. Fino al 30 luglio il visitatore può fare un viaggio virtuale con visori e cuffie, fino al 30 settembre può ammirare un’installazione esposta nel cortile principale dell’università. Un viaggio variegato nelle lingue a rischio prima di venire perse per sempre. L’Università Ca’ Foscari spiega così l’iniziativa: «Last Whispers è una composizione sonora spazializzata che unisce discorsi, canzoni, incantesimi e canti rituali con suoni e immagini della natura e frequenze provenienti dallo spazio. Il risultato è un lavoro corale, profondamente moderno e tradizionale al contempo, dedicato al tema dell’estinzione delle lingue su scala globale. Quest’estinzione è, per definizione, silenziosa, perché è proprio il silenzio la forma che essa assume. Last Whispers dà voce a ciò che è stato ridotto al silenzio: mentre affoghiamo nel rumore delle nostre voci - espressione dei sistemi culturali e linguistici dominanti - siamo circondati da uno sconfinato oceano di silenzio». Tanto materiale attinto dai più grandi archivi linguistici del mondo diventa filo conduttore di un progetto multimediale che combina arte e tecnologie all’avanguardia nel suono, nell’installazione immersiva e nella realtà virtuale.

Sulla via della sensibilizzazione si inserisce anche la giornata internazionale della lingua madre che si celebra il 21 febbraio. L’obiettivo è promuovere il multilinguismo. La giornata viene istituita dall’Unesco nel 1992 su iniziativa del Bangladesh per ricordare un evento del 1952.

Allora un gruppo di studenti dell’università di Dacca venne ucciso dalle forze di polizia del Pakistan, all’interno del quale al tempo ricadeva il Bangladesh, durante una sollevazione in difesa della loro lingua madre, il bengalese, contro l’imposizione della lingua urdu. A Dacca un monumento centrale alla lingua madre ricorda quella tragedia e il sacrificio di tanti giovani. L’evento rappresenta il primo passo verso la scelta di uno Stato separatista che si sarebbe concretizzata nel 1971. Anche Roma, nel parco Rabin, dedica a quell’evento un monumento alla lingua madre.

Il decennio internazionale delle lingue indigene punta naturalmente ancora più in alto. «Costituisce un’opportunità per aumentare la consapevolezza dell’importanza della diversità linguistica e del multilinguismo per lo sviluppo sostenibile e per la costruzione della pace», sottolinea l’Unesco. Il 31 gennaio scorso a Parigi la presentazione di un piano d’azione globale che punta - viene spiegato - a «preservare, rivitalizzare e promuovere le lingue indigene, usarle in ambito socio-culturale, economico, ambientale e politica per costruire pace, giustizia, sviluppo e riconciliazione nelle nostre società». Una scommessa ambiziosa annunciata prima del conflitto in Ucraina che forse la rende ancora più necessaria e urgente.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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