Un’estate difficile e altre ce ne saranno: trovare lavoratori stagionali per le attività turistiche è un’impresa ardua. Certo, ci sono le paghe irrisorie, gli orari assurdi, gli alloggi sovraffollati e fatiscenti, un trattamento complessivamente molto poco umano, le chiamate in “nero”, insomma, tutti aspetti che portano i giovani a rifiutare un posto a tempo – lo denunciano i protagonisti (leggete le decine di commenti sui social sulle proposte indecenti da nord a sud d’Italia) e anche il sindacato, la Filcams Cgil, in particolare, che sta attraversando il Paese con una campagna per riportare il lavoro al centro della filiera del turismo, della ristorazione e della cultura, per informare lavoratrici e lavoratori stagionali sui propri diritti, e determinare finalmente le condizioni per un’occupazione stabile, regolare e dignitosa.

Ma non è soltanto questo, non dappertutto. Alla base di questa vera e propria emergenza c’è il Covid (perché durante il lockdown, con le attività ferme, la gente è andata a cercare occupazione altrove, e quando l’ha trovata, ad esempio nella logistica e nei servizi di trasporto, spedizione e consegna merci, lì è rimasta). Inoltre incide parecchio il non funzionamento dei meccanismi di “mismatch”, di incontro tra domanda e offerta di lavoro, e l’invecchiamento della popolazione.

L’allarme è stato rilanciato nel periodo di Ferragosto a livello nazionale anche dai Consulenti del lavoro. A fronte di una richiesta di quasi 50mila stagionali, il 46% risulta introvabile (circa 22mila persone).

Le imprese del turismo sono ancora a caccia di migliaia di professionisti, stagionali da assumere al volo, anche a settembre e ottobre, purtroppo senza possibilità di selezione, e quando si trovano persone disponibili a entrare in servizio subito è un miracolo, dato che le caselle vuote da riempire sono tante e – si spera – gli arrivi nell’Isola proseguiranno per almeno altri due mesi.  

Fausto Mura, responsabile di Federalberghi Sud Sardegna, sottolinea che «la situazione è difficile in tutta Italia e in mezza Europa, in alcune regioni, come il Trentino Alto Adige, le strutture ricettive stanno lavorando con il 40% di dipendenti in meno, da noi si registra un deficit del 15% circa, quindi, su 47.500 occupati diretti del settore alberghiero nell’Isola, mancano all’appello 5.000 persone. Non ci sono chef, secondi cuochi, camerieri, receptionist, e diverse altre figure. Significa che le aziende sono costrette a tagliare servizi».

Ad esempio, un albergo dovrà tenere aperto il ristorante soltanto a pranzo o a cena, oppure dar da mangiare esclusivamente a chi pernotta e non agli esterni. Una struttura che ha un bar interno e uno sulla spiaggia, riuscirà a renderne operativo soltanto uno. La piscina di un villaggio dovrà ridurre gli orari di fruizione. «Chiaramente per le imprese tutto questo si traduce in perdite economiche importanti», prosegue Mura, «inoltre ne risente l’immagine complessiva dell’ospitalità, insomma, non ci facciamo una bella figura, anche se, ripeto, è un problema che riguarda tante zone. Inoltre, e anche questo aspetto rovina ovviamente l’offerta turistica della Sardegna, poiché siamo in affanno e costretti a prendere chiunque si proponga, capita spesso di assumere chi non è capace, non ha esperienza né professionalità».

Aggiunge Mura: «Io sono convinto che il reddito di cittadinanza sia “responsabile” solo in minima parte di questa situazione. È stato il lockdown a creare questo deficit, per due anni le imprese turistiche sono rimaste più o meno chiuse e la gente è andata a lavorare in altri comparti. Il problema sta nello scarso volume di professionisti che la formazione isolana immette sul mercato del lavoro ogni anno, non esiste alta formazione che crei direttori e manager, e anche le scuole alberghiere non sono in grado di sfornare un numero adeguato di giovani qualificati. Se non troviamo soluzioni, ogni stagione andrà peggio».

Non mancano soltanto stagionali. Sempre la Fondazione Consulenti del lavoro a giugno scorso ha evidenziato le difficoltà per le aziende di trovare medici, biologi, farmacisti, specialisti nelle scienze della vita.

Ancora: il tasso di irreperibilità sale nell’edilizia e nelle attività commerciali e di servizio.

Da qui a otto anni la forza lavoro sarda subirà un ridimensionamento pesante. La popolazione è sempre più vecchia, le nascite diminuiscono, l’emigrazione non si ferma: nel 2030 l’Isola avrà oltre 108mila persone attive (tra i 15 e 64 anni) in meno. I dati Istat rielaborati da Il Sole 24 Ore dicono che «il tracollo degli occupabili» nel Paese sarà complessivamente di 1,9 milioni di residenti, 150mila tra i 15 e i 29 anni e 1,83 milioni fra i 30 e i 64, ma l’emorragia non sarà omogenea nei territori, e ancora una volta il Mezzogiorno soffrirà di più, mentre province come Prato, Parma e Bologna guadagneranno abitanti.

Il calo della popolazione previsto in Sardegna dal 2022 al 2030 è tra i più elevati d’Italia. Nel Sud Sardegna – seconda provincia più in “rosso” dopo Enna – la diminuzione tra i 15 e i 64 anni sarà di 28.868 anime (-3.982 tra i 15 e i 29 anni e 24.686 nella fascia 30-64); nell’Oristanese, rispettivamente -2.137 e -9.713; nel Nuorese -3.223 e -12.591; nel Sassarese -3.239 e -24.770, nel Cagliaritano -1.858 e -22.183.

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