Ammirati, mitizzati, studiati fino all’inverosimile eppure ancora avvolti nel mistero. Sono i Bronzi di Riace, statue millenarie nate a nuova vita cinquant’anni fa quando, riemerse dal mare, vengono ribattezzate A e B, semplicemente. Contesi da tutti, dall’Expo di Milano alle Olimpiadi e ai Mondiali di calcio, restano fissi nella base di marmo bianco antisismica realizzata nel museo di Reggio Calabria di cui sono imbattibili ambasciatori. Ma prima di approdare nella dimora definitiva da cui la fragilità di queste opere meravigliose sconsiglia ogni eventuale spostamento il percorso delle statue è scandito da tappe in cui vengono acclamate come star intramontabili, a iniziare dall’esposizione nel palazzo del Quirinale nel 1981 per volontà dell’allora presidente Sandro Pertini. Dove non è possibile portare i capolavori originali arrivano le copie, come succede all’Exmà di Cagliari nel novembre 2004. Successo garantito comunque perché queste imponenti statue dalla bellezza abbagliante e sacrale conquistano assieme alla loro storia affascinante che inizia circa 2500 anni fa.

Copie dei Bronzi di Riace esposte all'ExMà di Cagliari nel 2004
Copie dei Bronzi di Riace esposte all'ExMà di Cagliari nel 2004
Copie dei Bronzi di Riace esposte all'ExMà di Cagliari nel 2004

Le sculture, risucchiate dal mar Ionio dove restano sepolte fino all’agosto 1972, arrivano dalla Grecia, forgiate da mani abilissime, capaci di raffigurare con sorprendente fisicità tutte le conoscenze dell’anatomia umana. Tanto realismo artistico lascia senza parole di fronte a due giganti: uno, che identifica il giovane o l’eroe, alto 1,98; l’altro, il vecchio o lo stratega, un centimetro in meno. Non è l’unica differenza al di là della postura identica che li rende perciò molto simili. Il bronzo A colpisce per la capigliatura con le ciocche ondulate, come pure per gli occhi, restaurati con straordinaria cura assieme alle ciglia, e per le labbra e i denti di colore rosato, ottenuto dal rame. Il bronzo B ha un capo più liscio: per gli studiosi portava un elmo. Probabilmente entrambi impugnavano lo scudo con la mano sinistra e la lancia con quella destra, proprio come due guerrieri. L’ipotesi della prima ora, ovvero che fossero due atleti, nel tempo viene meno.

L’esame dei particolari e della postura in movimento convince gli esperti che le statue siano espressione del periodo d’oro dei Greci, la metà del quinto secolo avanti Cristo, quando scelgono il bronzo per rappresentare uomini di valore come un principe o un dio. Dopo la caduta dell’impero romano la decadenza dell’arte classica porta alla fusione delle statue in bronzo, convertite in utensili e armi. I bronzi di Riace scampano per fortuna a questa sorte perché il mare li custodisce chissà da quanto tempo, quando l’imbarcazione che li trasporta, forse travolta dalla tempesta, se ne libera per alleggerire i pesi ed evitare il naufragio.

Quel carico eccezionale riemerge in una giornata d’estate: il 16 agosto 1972 un chimico romano, appassionato di pesca subacquea, Stefano Mariottini, si immerge al largo della spiaggia di Marina di Riace. Nel fondale, a circa otto metri di profondità, a 300 metri dalla costa, nota un braccio che gli fa subito pensare a un cadavere. Poi si rende conto che si tratta d’altro. Smuove la sabbia intorno e scopre due statue. Il 21 agosto i sommozzatori dei carabinieri di Messina e gli uomini della Soprintendenza archeologica di Reggio Calabria le tirano fuori dall’acqua davanti a una grande folla. Il richiamo è forte anche perché a Riace pensano che quei due giganti siano i santi Cosimo e Damiano di cui sono tanto devoti, come indica un cartello all’ingresso del paese. Le opere sono in buono stato di conservazione, ma è necessario un lungo lavoro di restauro che inizia a Reggio Calabria con le operazioni di pulizia. Nel 1975 il trasferimento a Firenze, nel Centro specializzato della Soprintendenza alle antichità della Toscana. I due bronzi vengono sottoposti a radiografie e a trattamenti conservativi che vanno avanti fino al 1978. Nel 1980 sono pronti per la prima apparizione pubblica, a Firenze. Nel 1981, dopo la tappa romana, il ritorno a Reggio Calabria dove controlli e restauri si rinnovano nel tempo.

I Bronzi di Riace esposti al Quirinale nel 1981
I Bronzi di Riace esposti al Quirinale nel 1981
I Bronzi di Riace esposti al Quirinale nel 1981

Lo studio scientifico dei materiali è fondamentale e porta a svuotare le statue che all’interno custodiscono residui delle terre di fusione che, come il Dna, aiutano a svelare in parte alcuni segreti. Per esempio, emerge che i due giganti hanno una differenza d’età: A ha trent’anni in più rispetto a B perché la lega di bronzo è diversa. Infatti, A è composto da due metalli, rame e stagno, mentre B presenta anche il piombo, in uso in epoca più tarda. È sicuro che arrivano dalla Grecia perché le terre di fusione sono compatibili con l’area di Atene e Argo, città del Peloponneso, entrambe culla dell’arte del V secolo avanti Cristo. Vien da sé pensare al maestro Ageladas di Argo, scultore e bronzista, oppure al suo allievo più illustre, Fidia, artista straordinario e progettista dell’Acropoli di Atene, come possibili autori dei due capolavori. Non manca un altro nome, quello di Pitagora di Reggio, che opera a Rhegion, ovvero l’attuale Reggio Calabria, colonia della Magna Grecia. Il lavoro degli archeologi è parallelo agli studi di storici dell’arte che scandagliano testi letterari e altri reperti alla ricerca di indizi e assomiglianze. Il mistero resta assieme all’enigma del viaggio che li ha portati a Riace. Secondo gli esperti l’imbarcazione non sarebbe affondata lì dove sprofondano le statue perché attorno vengono recuperati solo gli anelli per le vele, nessun’altro elemento. Il viaggio alla scoperta dei bronzi affascina anche per i tanti misteri che ancora li accompagnano: il luogo di partenza, il punto di destinazione come pure la presunta presenza di una terza statua. Perfino il ritrovamento finisce al centro di un’inchiesta conclusa quando il tribunale di Roma riconosce che la scoperta va attribuita a Stefano Mariottini.

Ogni mistero svanisce, però, quando si arriva al loro cospetto, nella sala dove accedono venti visitatori alla volta e la temperatura oscilla tra i 20 gradi d’inverno e i 27 d’estate per conservare al meglio un tesoro strappato al mare forse solo per caso.

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