Un laico canto sacro, intriso di erotismo amaro, dove Dio è lontano o noncurante, e i suoi profeti e guerrieri smarriscono la retta via per inseguire il desiderio, il piacere, la carne. E la somma lode al divino diventa il simbolo dell'orgasmo in un amplesso crepuscolare.

È quantomeno curioso che Hallelujah di Leonard Cohen sia stato scelto nei giorni scorsi per concludere la Convention repubblicana che ha affidato al presidente USA Donald Trump l'onore e l'onere di battersi per un secondo mandato nel nome suoi elettori di riferimento: il popolo ultraconservatore di cui sono pars magna i fondamentalisti cristiani, che interpretano la Bibbia alla lettera e onorano la Trinità come Dio, Patria e Famiglia. Quest'ultima intesa nel senso tradizionale di un uomo, una donna (possibilmente un passo indietro) e i loro numerosi figli.

UN'ICONA DELLA CULTURA LIBERAL Leonard Cohen, canadese di Montreal, discendente di rabbini, a lungo monaco zen per scelta, libertino impenitente, spentosi a Los Anglese nel 2016 a 82 anni, per quanto poco incline alla propaganda politica, era un'icona della cultura liberal sin dagli anni Sessanta. Quando le sue canzoni ruvide e malinconiche, e prima ancora le sue poesie, che fecondavano la Torah con i semi del dubbio e dell'eros, erano censurate o incomprese. L'accoppiata con Donald Trump (un libertino sì, ma di tutt'altra classe) è sembrata oltraggiosa ai fan del poeta e musicista. Tanto più agli avvocati che ne tutelano l'immagine e il patrimonio. E minacciano querele perché giurano che loro l'autorizzazione ai repubblicani non gliel'hanno proprio data. Anzi, gliel'hanno negata, quando è stata chiesta. "Siamo sorpresi e sconcertati dal fatto che la Convention abbia trasmesso il brano nonostante avessimo specificamente rifiutato la loro richiesta, così come dal tentativo sfacciato di sfruttare e politicizzare Hallelujah, una delle canzoni più importanti del catalogo di Cohen", scrive (nella traduzione di Rolling Stone Italia) Michelle L. Rice, rappresentante legale del Cohen Estate. E invece l'Hallelujah proibito è stato eseguito ben due volte. La prima nella versione di Tory Kelly (senza autorizzazione, ha dichiarato l'artista a Variety), mentre i fuochi d'artificio scrivevano sulla Washington Mall "TRUMP 2020". La seconda volta, a luci ormai spente, nella versione operistica del tenore Christopher Macchio.

MA NON È UN INNO RELIGIOSO "Ma i repubblicani lo sanno che Hallelujah parla di sesso?" si domanda Abigail Weinberg sull'edizione online di Mother Jones, storica rivista della sinistra radicale americana. Probabilmente no, perché su Twitter e Facebook non si contano le reazioni dei sostenitori entusiasti. O, piuttosto, gli attestati di fede: in Donald Trump, nel Partito e in Dio, strettamente uniti in una battaglia di Bene contro Male. "Forse è stato un malaccorto tentativo di trasmettere un sentimento religioso attraverso la ripetizione della parola Hallelujah", scrive il settimanale statunitense Newsweek. Sottolineando come il brano scritto da Cohen sia stato infilato tra due canzoni di stampo patriottico: "She's a grand old flag" (l'inno alla bandiera favorito degli scout) e "God Bless America". Ma probabilmente gli organizzatori della Convention hanno lavorato nel solco di uno straordinario stravolgimento di significato. Dovuto, in fin dei conti all'inatteso successo commerciale di una canzone che lo stesso autore aveva partorito con difficoltà. "The Holy or the Broken: Leonard Cohen, Jeff Buckley, and the Unlikely Ascent of "Hallelujah" è un saggio di Alan Light, giornalista e critico musicale di Rolling Stone, che nel 2012 ha raccontato appunto "L'improbabile ascesa" della canzone. Colpa della Disney/Pixar, che nel 2001 la volle a sottolineare il dolore dell'orco Shrek, quando credeva di aver perduto l'amore della sua bella Fiona. E pazienza se gli astuti maghi della Pixar, maestri nel creare pellicole per bambini che non annoiassero i genitori, hanno usato nel film la tersa voce di John Cale, compositore e polistrumentista, amato dai baby boomers ed ex beatnik per aver aver fondato i Velvet Underground con Lou Reed. Il primo ad avere inciso una cover del brano, nel 1991. Ma nella colonna sonora ufficiale, incisa in un CD, Hallelujah è eseguita dalla voce accattivante di Rufus Wainwright, fatta apposta per piacere al pubblico. E da allora è stato un succedersi di esecuzioni diverse, c'è chi dice addirttura 300.

LA STORIA Hallelujah, di cui Leonard Cohen ha scritto ben ottanta strofe, variamente combinate, senza che mai la tensione creativa si sciogliesse in piena soddisfazione, è stato pubblicato per la prima volta nel 1984, nel disco Various Positions: il doppio senso è erotico, politico, religioso. È Cohen. Giancarlo De Cataldo, il magistrato scrittore che ne ha tradotto per Minimum Fax le opere letterarie lo definisce: «Un artista in bilico fra Dio e sensualità». Mai un autore da top charts, però amatissimo da artisti e letterati. Nel 1984 la sua stella è proprio in declino. Madonna e Michael Jackson sono il sound del momento. La Columbia non apprezza né il brano né il disco, infatti non lo pubblica negli Usa, dove uscirà solo anni dopo, quando Cohen, il cantautore delle élite liberal, sarà diventato un successo di massa.

DALLA BIBBIA AI CONCERTI Ma che cosa c'è, di speciale, in questo brano? L'Alleluia è, anche nella liturgia cattolica, un'espressione di gioia e di lode al divino. Cohen, intriso della cultura ebraica di famiglia ("A Montreal eravamo quelli che avevano costruito la Sinagoga", ha detto in un'intervista) la cala nei contesti più laici, più prosaici. E dalla Bibbia sceglie i fallimenti, più che i trionfi degli eroi. Hallelujah comincia dal giovane Davide, di cui il Libro di Samuele racconta che suonasse l'arpa così bene che persino Dio ne era compiaciuto. Ma Cohen, che con Dio dialogherà sino alla morte, senza mai incontrarlo, commenta: "Ma a te in fondo non interessa la musica, no?". Il pastorello che sconfigge il gigante Golia e diventa re, è a sua volta sconfitto dalla passione carnale: vede Betsabea nuda che fa il bagno sul tetto di casa, se ne invaghisce, la mette incinta e manda il marito di lei a morire in battaglia. Cohen si prende la libertà di passare al Libro dei Giudici, di intrecciare la caduta di Davide con quella di Sansone, che la bella Dalila, in versione sadomaso-casalinga, lega alla sedia di cucina e priva dei capelli e della forza. Non prima di avergli strappato dalle labbra Il fatidico Hallelujah. In una versione del 1988, pubblicata nel disco Cohen Live del 1994, il tono erotico è più evidente. Il poeta si rivolge a un'amante la cui passione si è spenta. "C'era un tempo in cui mi facevi sapere tutto quello che succedeva là sotto, ma ora non me la mostri neanche più, vero?". E assicura: "Ma io ricordo quando mi muovevo dentro di te, e anche la Sacra Colomba (cioè lo Spirito Santo, ndr) si muoveva con noi e ogni respiro era un Hallelujah". E il Dio della Bibbia c'è o non c'è, ma l'essere umano che "non era capace di sentire" adesso ha "imparato a toccare". E non si pente, del desiderio, dell'amore e del piacere scambiato: "Anche se tutto è finito male, mi presenterò davanti al Signore dei Canti, con null'altro sulle labbra se non un Hallelujah".

JEFF BUCKLEY "Un alleluja all'orgasmo, all'amore e alla vita" lo definì Jeff Buckley, cantante e musicista statunitense, che scoprì il brano in un album di cover, in un periodo in cui Cohen era ormai dimenticato dai suoi primi fan e non era stato ancora riscoperto dai giovani di fine millennio. Buckley ne diede una meravigliosa interpretazione nel suo album Grace, uscito nel 1994. Non un amplesso gioioso, anche in quel caso, ma una lenta e struggente agonia. Perfettamente in linea con lo stile maudit dell'interprete, che in una notte del 1997 si tuffò nel Wolf River nel Tennessee e solo una settimana dopo fu ritrovato privo di vita, il suo corpo incastrato fra i cespugli. Aveva 31 anni. Per il leader degli U2 Bono, era stato "una goccia pura in un oceano di rumore". Per David Bowie il suo Grace era un album indispensabile alla sopravvivenza, da portare in una ipotetica isola deserta.

Cohen non smentì né asseverò l'interpretazione orgasmica di Buckley. Non ce n'era bisogno. "Innamorato delle donne d'altri", si definisce, nella traduzione di De Cataldo in Morte di un casanova (Death of a Lady's Man). Dove scrive, in Note del 1973 per l'amante clandestina: «Che gran bel modo / di guadagnarsi da vivere / seduto nel giardino al sole / pensando alla tua f...».

IL GRANDE EQUIVOCO Ma allora, che c'entra tutto questo con Dio, Patria e Famiglia? Con i nemici giurati del sesso prematrimoniale e dell'adulterio, che hanno parlato alla Convention repubblicana? Niente. Se non che nel 2001 Shrek diventa un successo cinematografico mondiale. Tanti bambini di sei anni cantano Hallelujah e per tanti genitori ignari, che non hanno mai ascoltato né Leonard Cohen, né Jeff Buckley o John Cale, è solo "la colonna sonora di Shrek". Negli anni successivi non c'è star che non l'abbia cantata. Ci sono versioni nobili, come quella di Regina Spektor nel concerto della Jewish Heritage Festival. "Cohen si ispira spesso al simbolismo religioso ebraico. Lo so perché ho frequentato la Yeshiva, e conosco le storie, che lui usa con grande libertà. Ma non è necessario conoscerle per apprezzare il brano", ha dichiarato l'artista. Anche KD Lang ne dà una versione commovente e non certo popolare. Bon Jovi smette i panni del macho, per interpretarla dal vivo. Ma cresce anche un filone trash, fatto di cover su YouTube e di artisti meno blasonati per i fan originari di Cohen.

L'apoteosi arriva nel 2008 con X Factor. Alexandra Burke che vince a mani basse pompando il brano in stile Whitney Houston. Lo pubblicherà come debut single e sarà la prima artista inglese e nera a vendere un milione di copie. Anche Cristina D'Avena e Ivana Spagna vantano le loro cover di Hallelujah. L'inatteso successo ha portato Leonard Cohen a dire che forse sarebbe stato meglio darci un taglio, con le cover. Ma poi, ingentilito dagli anni e dalla meditazione Zen, si è pentito e ha ringraziato i colleghi che lo citavano e i loro fan. Forse anche perché lo hanno aiutato a rimettere in sesto i suoi conti, prosciugati da un consulente infedele, che lo aveva lasciato in bancarotta.

IRRIDUCIBILI Leonard Cohen è morto il 7 novembre 2016, due giorni prima dell'elezione di Donald Trump. Difficile però ipotizzare che avrebbe apprezzato il cammeo postumo alla Convention repubblicana. "Se ci avessero chiesto You Want It Darker, per cui Leonard ha vinto un Grammy postumo nel 2017, forse avremmo accettato", ha dichiarato l'avvocata Michelle L. Rice a nome del Cohen Estate.

Una proposta sarcastica, visto che il brano, fra gli ultimi composti dal prolifico poeta canadese, ha versi degni delle Pitture nere di Francisco Goya: "Stanno mettendo i prigionieri in fila / le guardie prendono la mira / Ho combattuto alcuni demoni /erano mansueti e borghesi / Non sapevo di avere il permesso di uccidere e smembrare…". Non certo l'inno di un presidente incamminato verso il trionfo.
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