Siamo sull’orlo di una guerra mondiale per il pane? Il solo ipotizzarlo nel terzo millennio sembrerebbe da film di fantascienza, ma a riportarci tutti alla dura realtà sono in questi giorni le quotazioni stellari raggiunte dal grano. Un rincaro record in ogni angolo del pianeta che rischia di penalizzare paesi come l’Italia, che ogni anno devono importare tonnellate di cereali dall’estero per far fronte alla richiesta del mercato nazionale, patria indiscussa della pasta ma anche di tutti i derivati del grano.

La difficoltà delle aziende nel trovare nelle ultime settimane semola da trasformare in pane e pasta è di fatto il primo di una serie di campanelli di allarme che potrebbero sconvolgere il mondo. Non a caso gli appelli si stanno moltiplicando in questi giorni dopo i nuovi massimi raggiunti dal cereale. La Coldiretti prevede già un duro colpo per le famiglie italiane. “Le quotazioni record raggiunte dal grano si trasferiscono a valanga sul carrello della spesa – spiega l’associazione degli agricoltori - con i prezzi che aumentano di 10 volte dal campo al pane sugli scaffali”.

Speculazioni

Il calcolo di Coldiretti è semplice: “Un chilo di grano tenero in Italia è venduto a circa 32 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini ad un valore medio di 3,2 euro al chilo con un rincaro quindi di dodici volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito”.

Il timore è quindi che questa impennata dei prezzi possa penalizzare le categorie disagiate e i paesi più poveri. Dopo cinque mesi di costanti rialzi di prezzo del grano ha raggiunto livelli vicini a quelli di dieci anni fa, quando in molti paesi scoppiarono rivolte proprio per i prezzi proibitivi toccati da beni di prima necessità come pasta e pane. Alla Borsa di Parigi il grano costa 297 euro a tonnellata, mentre nella piazza di Chicago le quotazioni hanno superato gli 8 dollari per bushel (circa 27 chilogrammi). È la prima volta che succede dal 2012.

A rendere critica la fame di grano nel mondo hanno contribuito la pandemia e le avverse condizioni climatiche. Nei pochi paesi produttori di grano duro (Italia compresa) il maltempo ha penalizzato l’ultimo raccolto facendo schizzare i listini. Ecco perché il prezzo di una tonnellata ora ha raggiunto i 550 euro.

“Peraltro i prezzi al consumo – continua la Coldiretti – non sono mai calati negli ultimi anni nonostante la forte variabilità delle quotazioni del grano, che per lungo tempo sono state al di sotto dei costi di produzione. Con il grano sottopagato agli agricoltori negli ultimi 4 anni si è passati da 543.000 ettari di grano tenero coltivati in Italia agli attuali poco meno di 500.000 ettari per una produzione di circa 2,87 milioni di tonnellate con l’aumento della dipendenza dall’estero che ha raggiunto addirittura il 64% del fabbisogno, sul quale ora pesa il calo delle produzioni in Russia e Ucraina per effetto del clima”. 

Futuro

Tra l’altro il quadro non sembra di breve durata. L’impennata dei carburanti condizionerà infatti costi di produzione anche della prossima annata mantenendo i prezzi oltre le medie degli ultimi anni. “A preoccupare sono le prossime semine con i costi che sono raddoppiati per gli agricoltori che – spiega ancora la Coldiretti – sono costretti ad affrontare rincari fino al 50% per il gasolio necessario per le attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione ma ad aumentare sono pure i costi per l’acquisto dei fertilizzanti delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne”.

La soluzione al cortocircuito produttivo non è semplice: “Per ridurre la volatilità e stabilizzare i prezzi occorre realizzare rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti. Una necessità – conclude la Coldiretti - per ridurre la dipendenza dall’estero da dove oggi arrivano oltre 6 chicchi di grano su 10 consumati in Italia”.

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