Per celebrare il centesimo anniversario della sua morte hanno organizzato un grande spettacolo di musica e luci, e uno sciopero dei dipendenti della Torre, che lamentano le condizioni di lavoro. Originale e contraddittorio, il modo in cui Parigi ha ricordato uno dei francesi più famosi al mondo, nominato e “visitato” quotidianamente da migliaia di persone eppure ancora poco noto: Gustave Eiffel. Molti dei turisti che a milioni ogni anno salgono sulla torre da lui ideata e costruita, simbolo insuperabile della capitale di Francia, non sanno e neppure si chiedono da cosa derivi il nome di quel gigante d’acciaio. E anche quelli che da qualche parte hanno appreso che la torre è battezzata in virtù del suo creatore, ignorano le tante curiosità legate a quell’uomo morto proprio un secolo fa, il 27 dicembre 1923.

Per esempio che non si chiamava Eiffel. Che a lui si deve un altro monumento di clamorosa forza simbolica come la Statua della libertà. E che però in origine egli non era un ingegnere esperto di grandi monumenti, ma un chimico. Tutto avrebbe pensato, meno che di passare alla storia per la realizzazione di strutture colossali diventate attrazione planetaria. La sua vita è la conferma di quanto il caso e le circostanze possano determinare le sorti delle persone; trasformando un uomo indirizzato verso una tranquilla vita a libro paga dell’azienda di famiglia, in un nome destinato a imperitura memoria.

Origini tedesche

Proprio il nome è la prima stranezza relativa a questo personaggio. Stando alla vera anagrafe del suo ideatore, l’enorme guglia di ferro sorta in riva alla Senna si sarebbe dovuta chiamare Torre Bönickausen. E chissà, magari non avrebbe avuto la stessa fortuna. Ma quello era il cognome reale del giovane Alexandre Gustave, nato a Digione nel 1832 da un padre francese di origine tedesca: fu proprio quest’ultimo a decidere di dare alla famiglia un appellativo più facile da pronunciare per i conterranei. Ne scelse uno totalmente inventato ma ispirato all’altopiano dell’Eifel, nell’ovest della Germania, vicino al confine col Belgio, la zona da cui si erano spostati i suoi avi per stabilirsi in Francia.

Un'immagine di Gustave Eiffel nella sua maturità
Un'immagine di Gustave Eiffel nella sua maturità
Un'immagine di Gustave Eiffel nella sua maturità

Però Gustave Bönickausen cambiò ufficialmente il suo nome in Eiffel solo nel 1880, a quasi 50 anni, anche se veniva già chiamato in quel modo. Nel frattempo aveva completato i suoi studi, prima a Digione e poi nei politecnici di Parigi, ottenendo una laurea di ingegnere chimico. Pronta per essere messa a frutto nell’azienda posseduta da un ricco zio, parente di sua mamma, che produceva vernici (la madre stessa era a sua volta un’imprenditrice, nel settore del commercio del carbone). Ma ci si mise di mezzo la passione politica: non del giovane Gustave, bensì dello stesso zio, repubblicano convinto, e del padre, che invece era un ufficiale dell’esercito nostalgico dell’impero napoleonico. Il contrasto tra i due fu tale da compromettere i rapporti familiari, e così il neolaureato dovette ripiegare su impieghi molto meno remunerativi.

Uno di questi però lo mise in contatto con un costruttore ferroviario, Charles Nepveu, che colse in Eiffel-Bönickausen una notevole attitudine per l’ingegneria strutturale. Arrivò ad affidargli la realizzazione del ponte Saint-Jean sulla Garonna, un’opera all’epoca molto avveniristica e delicata. Fu questo incarico che fece sbocciare definitivamente una nuova vocazione, rimasta fino a quel momento nascosta. All’accuratezza nei calcoli, Eiffel poteva affiancare conoscenze di chimica che gli consentivano di trovare soluzioni originali nell’utilizzo dei materiali. Ma era decisiva anche la sua grande fantasia nella progettazione. In breve tempo riuscì a mettersi in proprio, con un’impresa specializzata nella realizzazione di ponti ferroviari che lavorò in tutta la Francia e diede al suo fondatore un’ottima fama nel settore. Ottenne commesse importanti anche all’estero, tra cui la stazione di Budapest Ovest: un disegno di grande modernità in cui una ponderosa parte centrale in vetro si armonizza con un’elegante struttura in mattoni.

Da New York a Parigi

Risale a quel periodo anche il lavoro di Eiffel alla Statua della libertà, donata dalla Francia agli Stati Uniti in segno di amicizia tra i due popoli: il disegno della donna con il libro e la fiaccolata si deve a scultori e architetti come Bartholdi e Viollet-le-Duc, ma fu il futuro padre della Torre a progettare la struttura interna, in travi di ferro, che tiene in piedi un monumento collocato nella Baia di Manhattan, esposto a venti e tempeste. Di fatto, il lavoro su quell’impalcatura servì poi a Eiffel come una sorta di prova generale di quella, ben più grande, su cui si baserà la sua Torre.

La Statua della Libertà all'ingresso del porto di New York
La Statua della Libertà all'ingresso del porto di New York

La Statua della Libertà all'ingresso del porto di New York

Quasi logico, quindi, che l’ingegnere si candidasse alla progettazione dell’opera colossale che il governo francese voleva realizzare come simbolo dell’Esposizione universale del 1889. Invece anche qui c’è una curiosità da segnalare: in realtà inizialmente l’impresario di Digione fu poco interessato alla questione, mentre l’idea di partecipare al concorso di idee fu di due ingegneri suoi dipendenti, Émile Nouguier e Maurice Koechlin. Si deve a loro il primo progetto di una struttura verticale di ferro alta 300 metri, basata su quattro piloni e slanciata verso una convergenza finale. Poi però Eiffel si appassionò alla questione e il suo intervento fu decisivo per superare alcuni problemi progettuali. E dovette anche difendere pubblicamente la sua torre dalle polemiche che, com’è noto, ne precedettero la costruzione: alle critiche estetiche si mescolò lo scetticismo sulla capacità di Eiffel di realizzare un gigante di quelle dimensioni capace di resistere al vento e alle intemperie. Lui fu persino accusato di essere ebreo e tedesco, e dovette scrivere un articolo per chiarire che non era vero.

Il progetto della torre di ferro prevalse anche perché ebbe quasi subito il sostegno incrollabile del ministro Édouard Lockroy, presidente della commissione per l’Expo, che rigettò tutte le proposte alternative: tra cui quella, macabra, di un’enorme ghigliottina, a cento anni dalla Rivoluzione francese. Il resto è storia nota: la torre fu costruita tutto sommato rapidamente, in poco più di due anni, conquistando il record di edificio più alto del mondo (all’epoca), e venne inaugurata nella primavera del 1889. L’idea iniziale era di tenerla in piedi solo temporaneamente, per dieci o vent’anni: sappiamo com’è andata.

© Riproduzione riservata