Non c’erano molti dubbi in proposito, quindi non c’è stata neppure sorpresa. La parola più usata al mondo, in questo momento, è “Vax” ed è per questa ragione che l’Oxford English Dictionary - l’istituto britannico che sorveglia l’evoluzione del linguaggio, registrando cambiamenti ed evoluzioni - l’ha dichiarata, nel secondo anno di pandemia da Covid 19, “parola dell’anno”. E “Vax” trascina con sé tutti i termini relativi ai vaccini, anch’essi aumentati di frequenza e puntualmente rilevati dai lessicografi, come “double vaxxed” (con doppia vaccinazione), “unvaxxed” (non vaccinato) e “anti-vaxxer” o “no vax” (contrario ai vaccini) diventati di uso comune in tutto il mondo.

“Vax”, bisogna dire, è la versione abbreviata del termine “vaccine”, parola che risale agli anni '90 ma raramente utilizzata nel nostro vocabolario fino a quest'anno. Quando è letteralmente esplosa: a settembre 2021 il suo utilizzo era cresciuto addirittura 72 volte rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

«L'impressionante incremento nell'utilizzo è la prima cosa che ha catturato la nostra attenzione», spiega l’editore senior dell’Oxford Dictionary Fiona McPherson. «Le prove di quanto “vax” fosse al centro delle nostre preoccupazioni erano ovunque: dalle app per gli appuntamenti (vax 4 vax) ai calendari accademici (vaxx to school) fino alle operazioni burocratiche (vaxx pass)».     

«E’ evidente - osservano i lessicografi della prestigiosa università britannica - che il linguaggio dei vaccini sta cambiando il modo in cui parliamo di salute pubblica, di comunità e di noi stessi. Nessuna parola cattura meglio di “vax” l’atmosfera in cui siamo immersi, è come se questo termine fosse entrato nel flusso sanguigno della lingua inglese».

La parola inglese vax, come spiega l’Oxford English Dictionary, è “a colloquialism meaning either vaccine or vaccination as a noun and vaccinate as a verb”, cioè un termine che si può usare come nome, intendendo l’oggetto vaccino o la vaccinazione, ma anche come verbo quindi indicando l’azione del vaccinare.

Attraversata la Manica, la lingua italiana, peraltro molto permeabile agli anglismi, ha adottato interamente il linguaggio britannico con cui raccontiamo quotidianamente la pandemia di Covid-19. Basti pensare a lockdown, per indicare il tempo della chiusura, o green pass, il certificato di avvenuta vaccinazione. “Vax”, meglio “no vax”, nell’immaginario collettivo italiano ormai coincide con i cortei di protesta a Milano, mal tollerati dai commercianti e da tutti quelli che con senso civico ha scelto di vaccinarsi, o con i violenti scontri accaduti a Trieste, divenuta la città simbolo della protesta. “Vax” evoca ancora le insopportabili argomentazioni di chi ha scelto di non vaccinarsi e pretende spazi di libertà assoluti.

Tra gli studiosi e gli storici della medicina è un fatto assodato e a lungo studiato che i sentimenti di contrarietà alle vaccinazioni siano antichi quanto i vaccini stessi. Questo accade fin da quando il medico britannico Edward Jenner, alla fine del Settecento, infettò un bambino di 8 anni per verificare l’efficacia della sua soluzione contro il vaiolo. Era il 1796, e il virus terribile del vaiolo uccideva circa 400.000 persone all’anno. Jenner, considerato oggi l’inventore dei vaccini, utilizzò sul figlio del suo giardiniere del liquido infetto prelevato da lesioni di una persona malata di vaiolo bovino. Il materiale iniettato era definito da vaccine proprio per l’origine data dal variolae vaccinae che colpiva i bovini.

Da vaccine deriva dunque “vax”. L’esperienza della pandemia se, come sperimentiamo ogni giorno, ha condizionato le nostre vite, lo ha fatto anche nel linguaggio. Nell’aprile dello scorso anno nell’Oxford English Dictionary sono comparsi termini come “auto-isolato”, “distanziamento sociale” e “infodemia”. Quest’ultima micidiale quanto il virus del Covid, curabile solo con la conoscenza e la fiducia nella scienza.

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