Ha compiuto ottant’anni un mito assoluto del calcio, uno di quei personaggi che rimangono dentro i cuori e i ricordi dei tifosi a prescindere dalla maglia. "I risultati che sono arrivati hanno colpito tanti e di conseguenza hanno colpito anche me. Mi fanno particolarmente piacere tutte queste attenzioni che mi rivolgono tutt'ora. Vuol dire che ho lavorato bene".  Zoff è sempre stato uomo di poche parole. In un’intervista con la Rai per celebrare il suo compleanno si è soffermato, soprattutto, su tre momenti particolari: la partita a scopone con Pertini; il bacio a Bearzot e la parata decisiva contro il Brasile nel 1982. "Tre momenti straordinari e importantissimi; decisivi e determinati.  Pertini, ci mise a proprio agio con la partita a carte; il bacio a Bearzot è stato qualcosa di fuori dal comune, lontano dal nostro modo di essere, dal pudore friulano; la parata, invece, ci ha portato lontano. Me la ricordano ancora oggi anche se, al momento, io ebbi il terrore che l'arbitro non valutasse bene".

La carriera sportiva. Zoff è stato portiere del Mantova (dove fu compagno di squadra di Gustavo Giagnoni), del Napoli e soprattutto della Juventus: undici stagioni con sei scudetti, una Coppa Uefa, due volte la Coppa Italia e una serie di record. Da allenatore, oltre ai bianconeri, di cui è stato capitano di mille battaglie e di altrettante vittorie, ha guidato la Lazio e la Fiorentina e la Nazionale: “Seguo ancora il calcio, anche se non sempre allo stadio. Mi piace ancora. Certo, ci sono cambi generazionali e ci sono delle diversità, ma la sostanza e sempre buona". Rimpianti? “Ce ne sono tanti ma in realtà non sono rimpianti. La mia filosofia è sempre stata che, se in quel momento ho fatto una cosa in quel modo, vuol dire che non ero in grado di farla diversamente. Per il resto, arrivare a quarant'anni capitano della Nazionale e alzare la coppa del mondo è una cosa che non si ripeterà", ha dichiarato alla Tv di Stato. Sì, perché Zoff è, tra l’altro, l'unico calciatore italiano ad aver vinto sia i Mondiali sia gli Europei, nel 1968 e nel 1982. Sono sue le braccia che alzarono la Coppa in Spagna e furono poi immortalate da Renato Guttuso e da un francobollo. Ancora sue le mani che bloccarono sulla linea il possibile pareggio del Brasile al Sarrià, con un abbraccio finale al pallone che sapeva di rassicurazione paterna. Zoff è stato il campione rialzatosi dopo le critiche per le reti su tiri da lontano ad Argentina '78, ed è diventato leggenda quattro anni dopo col Mondiale vinto in finale contro la Germania sotto gli occhi di Pertini. Zoff è il volto finito sulle copertine di Time e Newsweek, il numero uno dei numeri uno che ha giocato con Burgnich e Facchetti per arrivare fino a Pablito Rossi e poi Bergomi, e che è stato rivale e poi compagno di Sivori e avversario di Pelè e Maradona, a testimonianza di una carriera unica anche come longevità. Zoff è poi stato capace di farsi valere anche come tecnico, arrivando a sfiorare con l'azzurro il titolo europeo (perso nel 2000 per un Golden gol di Trezeguet). Poco dopo il torneo continentale, si dimise per le critiche dell'allora premier Silvio Berlusconi per non aver fatto marcare a uomo Zinedine Zidane in quella finale. Zoff si è ritirato dal calcio giocato il 2 giugno 1983, spiegando che "non si può parare anche l'età".

Il premio. Intanto, il presidente dalla Figc Gabriele Gravina gli ha consegnato, come omaggio per i prossimi ottant'anni, la maglia della Nazionale celebrativa della vittoria degli ultimi Europei. Ma ha anche annunciato: “Credo sia giusto assegnare a Dino Zoff, in occasione del Premio Bearzot, un importante riconoscimento speciale. Lo proporrò alla giuria, ma credo che Dino Zoff lo meriti come allenatore e, soprattutto, come uomo".

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