Oggi ne è scaturita una nuova guerra, 50 anni fa la reazione fu “chirurgica” ma non portò i risultati sperati. La scelta di colpire i terroristi anche fuori dal proprio territorio si riaffaccia nelle decisioni strategiche di Israele. I corsi e ricorsi storici purtroppo ci rimettono davanti alla violenza del conflitto perenne tra Israele e Palestina e oggi l’operazione “Nili”, decisa dal governo di Benjamin Netanyahu dopo l’assalto del 7 ottobre scorso, che ha dato vita a una nuova guerra, ci riporta indietro di 50 anni e soprattutto rievoca la vicenda che Steven Spielberg ha magistralmente raccontato in un celebre film, “Munich”.

Fatti e similitudini

Dal dopoguerra a oggi, con la nascita dello stato di Israele, le guerre in quel pezzo di mondo mediorientale si sono susseguite, tra attacchi, blitz terroristici e contrapposizioni perenni tra ebrei e musulmani e qualche volta anche cristiani. Tra le varie guerre (dalla prima del 1948-49, a quella dei Sei giorni nel 1967 a quella del Kippur nel 1973) si sono registrati anche numerosi attentati terroristici che hanno colpito lo stato ebraico o suoi cittadini oltre che alleati di Israele. E allora come oggi la reazione del governo di Tel Aviv è stata forte. Anche se in qualche occasione, come dopo l’attentato di Monaco, è arrivata in maniera apparentemente meno devastante per i civili, andando a colpire “chirurgicamente” chi aveva tramato contro Israele.

Cinquant’anni fa

Il 5 settembre del 1972, nelle prime ore del mattino, un gruppo di otto palestinesi con indosso tute sportive e borsoni in mano, scavalca la staccionata del villaggio olimpico. In pochi minuti, quella che fino a quel momento era stata una festa di sport, si trasforma in un funerale degli ideali di De Coubertin per lasciare spazio alla violenza ideologica e alla contrapposizione tra i popoli. Il commando entra all’interno di un edificio che ospita gli atleti e con i mitra spianati arriva alle residenze degli atleti israeliani: due vengono uccisi subito, gli altri nove presi in ostaggio. La Germania e il mondo intero impara a conoscere il nome di Settembre nero, organizzazione terroristica palestinese che si intesta il blitz parlando di rivalsa contro Israele. Radio e Tv si collegano in diretta in quello che forse è il primo fatto mediatico con un risalto mondiale (a parte forse l’arrivo sulla luna). Alla fine anche i nove ostaggi vengono uccisi così come cinque terroristi palestinesi e un agente della polizia tedesca.

Il premier di Israele, in quel momento, è Golda Meir, nata in Ucraina ma naturalizzata nel nuovo stato ebraico, prima donna a ricoprire l’incarico di capo del Governo nel suo Paese dove sale al potere nel 1969 dopo aver avuto altri incarichi nell’esecutivo. È lei che prende la decisione su come vendicare i primi ebrei uccisi, in quanto tali, dai tempi della Shoah. Convoca i vertici del Mossad, i servizi segreti israeliani, e affida loro la missione denominata in codice “Operazione Ira di Dio”. Spielberg ricostruisce con le immagini passo passo quello che accadde allora. Un inizialmente riluttante ufficiale del Mossad, Avner Kaufmann, prende il comando dell’operazione e inizia la caccia a undici esponenti palestinesi che si ritiene abbiano avuto un ruolo nell’organizzazione dell’assalto terroristico contro gli atleti israeliani e fatto crescere nel mondo un senso di ribrezzo per quanto accaduto a Monaco. L’operazione viene avviata e si muove tra vari Paesi e capitali in mezzo mondo, da Roma a Parigi, colpendo gli obiettivi individuati, ma provocando allo stesso tempo anche la reazione di Cia e Kgb che in quel momento si spartivano le zone di influenza e non volevano intrusi nelle loro rispettive aree, tanto da colpire loro stessi alcuni componenti della squadra di Kaufmann. Purtroppo, come lo stesso ufficiale comprenderà dopo aver eliminato 6 palestinesi su 11, la squadra del Mossad è solo una pedina di un gioco molto più grande dove eliminato un terrorista, un altro va a coprire quella posizione. “L’Operazione Ira di Dio”, insomma, raggiunge il suo obiettivo, almeno in parte, ma non certo quello di estirpare il terrorismo internazionale e risolvere i problemi tra Israele, palestinesi e terrorismo islamico, come abbiamo potuto comprendere anche agli inizi del nuovo secolo con l’attentato alle Torri gemelle di New York.

La storia si ripete

Oggi, a circa 50 anni dai fatti di Monaco, la storia si ripete e la soluzione sembra essere la stessa. Una reazione violenta che fa insorgere gli organismi delle Nazioni Unite e mette in secondo piano l’orrore di un attacco che non ha precedenti in anni e anni di guerra palese e nascosta, come il blitz del 7 ottobre scorso, coinvolgendo soprattutto i civili.

Proprio nei giorni scorsi, infatti, si è appreso che Benjamin Netanyahu ha chiamato a sé i vertici del Mossad: “Ho dato ordine di colpire i capi di Hamas ovunque si trovino”, ha spiegato il premier israeliano. La nuova unità speciale si chiama “Nili”, acronimo di un versetto del Libro di Samuele “Netzakh Yisrael lo Yishaker” che tradotto significa: “L’eterno Uno di Israele non ti mentirà”. Questa frase è famosa in Israele grazie a una storia avvenuta nella Palestina della Prima guerra mondiale, che allora faceva parte dell’impero Ottomano. “Nili”, infatti, era il nome di un gruppo di spie ebree, guidato da Aaron Aaronsohn e dalla sorella Sarah, che contribuì alla vittoria inglese contro turchi e tedeschi (in quel caso alleati). Le informazioni di “Nili” furono utilizzate dal generale britannico Edmund Allenby per lanciare l’offensiva che portò alla conquista di Gerusalemme nel dicembre del 1917. Oggi, grazie a questa storia, tante bambine israeliane portano quel nome, che Netanyahu ha voluto rispolverare per dare mandato al Mossad di colpire i terroristi ovunque essi si trovino. A iniziare dalla Nukheba, la forza d’elite di Hamas che ha programmato e messo in atto l’attacco ai kibbutz e al rave party del 7 ottobre scorso. Molti, infatti, vivono in altri Paesi, a iniziare dal Qatar.

Resta da chiedersi se oggi come allora, quando “L’Operazione Ira di Dio” venne messa in campo, produrrà risultati oppure sarà solo una forma di vendetta fine a se stessa. Le soluzioni politiche possono fermare la guerra, le operazioni di intelligence, se sono cruente, non sempre portano a raggiungere gli obiettivi. Dopo l’attentato alle Torri gemelle, Osama bin Laden è stato eliminato, ma il terrorismo islamico continua a proliferare. Quindi, verrebbe da dire, che la politica e la diplomazia devono fare i loro passi, altrimenti, eliminato un terrorista, ne spunta un altro.

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