Forse non sono solo coincidenze. Sarebbero troppe, tutte casuali, per poter credere che questa storia sia vera per davvero. E invece non c'è finzione, neppure un briciolo, in questo intreccio di vicende umane che si svolgono costantemente al confine tra la vita e la morte.

Il colonnello e l'infermiere insieme (foto concessa)
Il colonnello e l'infermiere insieme (foto concessa)
Il colonnello e l'infermiere insieme (foto concessa)

All'incubo di non farcela si contrappongono altre forze: quella dell'amore e della solidarietà, un'amicizia casuale che poi diventa inossidabile e tanta, tantissima, tenacia da eroi. I protagonisti sono tre e nel bel mezzo della loro serena quotidianità fanno la comparsa improvvisa due nemici che in qualche modo si assomigliano molto: uno persino più spietato dell'altro. Il primo si chiama Ebola, il secondo Covid19. I vincitori di questa sfida che sembra eterna, e che alla fine va avanti per cinque lunghissimi anni, si chiamano Stefano, Roberta e Marco. Storie diverse, incontri casuali e battaglie comuni.

Nel 2015 l'infermiere di Sassari viene trasportato allo Spallanzani (foto concessa)
Nel 2015 l'infermiere di Sassari viene trasportato allo Spallanzani (foto concessa)
Nel 2015 l'infermiere di Sassari viene trasportato allo Spallanzani (foto concessa)

Stefano di cognome fa Marongiu: nasce e cresce a Sassari, è un soccorritore con la divisa del 118 e nel 2015 si ritrova in Sierra Leone, in un ospedale di Emergency, dove finisce per essere contagiato dall'Ebola. È il primo italiano a fare i conti col contagio che rischia di essere globale ma che poi per fortuna viene fermato prima che diventi pandemia. Roberta è una collega che Stefano conosce in Africa, che ritrova nell'ospedale di Roma mentre combatte la sua sfida contro il virus e che finisce per diventare sua moglie.

L'infermiere sassarese Stefano Marongiu (foto concessa)
L'infermiere sassarese Stefano Marongiu (foto concessa)
L'infermiere sassarese Stefano Marongiu (foto concessa)

Il terzo, che però stavolta non è un incomodo, è Marco Lastilla, un colonnello medico dell'Aeronautica militare che per salvare Stefano sfida a viso aperto l'incubo della contaminazione: traporta da Alghero allo Spallanzani l'infermiere sardo e poi sparisce, quasi nascosto, tra gli angeli in divisa che ogni giorno si mettono in volo per soccorrere chi in ospedale ci può arrivare soltanto in aereo perché il tempo di salire in ambulanza non c'è più. Il cerchio di una storia che sembra un romanzo si chiude quando a terrorizzare il pianeta compare il Covid e il colonnello Lastilla fa i conti con la fame d'aria e si ritrova sotto un casco della terapia intensiva. I pesi della vita in questo caso si riequilibrano e nella strada che porta fuori dall'ospedale, nel percorso per ritrovare la normalità e il sorriso, il medico diventato paziente incontra un volto noto: quello di Stefano Marongiu, l'infermiere che aveva salvato e che stavolta ricambia il favore. Con la stessa generosità e la stessa tenacia. Finché non è il momento del lieto fine. Ci si potrebbe soffermare sui sentimenti e si potrebbero approfondire le emozioni di quella che è diventata una famiglia allargata, ma bastano i fatti a rendere stupefacente questa vicenda.

Il trasporto su un aereo dell'Aeronautica militare (foto concessa)
Il trasporto su un aereo dell'Aeronautica militare (foto concessa)
Il trasporto su un aereo dell'Aeronautica militare (foto concessa)

Gli incastri dei tempi e dei luoghi, le insidie delle malattie e le speranze ritrovate in reparto. Perché quando Stefano Marongiu era a casa, con la febbre, rinchiuso in un appartamento della periferia di Sassari, quasi nessuno sapeva come curarlo. I medici dello Spallanzani sì: specialisti all'altezza della fama di centro d'eccellenza che l'ospedale romano ha costruito in giro per il mondo. Ma la Sardegna è lontana e c'è poco tempo da perdere. E nel solito gioco che si fa duro, pure stavolta, scendono in campo gli equipaggi dell'Aeronautica militare: piloti che non perdono tempo e che non hanno paura. Sempre pronti, in una piccola base dell'aeroporto di Ciampino o nel grande hub per C130 di Pisa, in attesa di decollare per correre in soccorso a chiunque abbia bisogno. Quasi ogni giorno sono loro a correre da un capo all'altro dell'Italia, e spesso all'estero, per salvare bambini nati con patologie rare o persone con scarsissime aspettative di salvarsi. Il miracolo si compie quasi sempre. E si ripete il giorno che Stefano Marongiu non sa neanche a quale santo votarsi. A bordo dell'aereo che atterra in Sardegna per portarlo a Roma c'è un colonnello col camice di cui nessuno racconta il nome: si chiama Marco Lastilla e una volta compiuta la missione del giorno ritorna alle incombenze quotidiane di un ufficiale medico. "Mi ero addestrato a salvare un paziente anche in condizioni particolari come quelle di chi è affetto da una malattia altamente contagiosa - racconta oggi il colonello - Dietro la tuta e la maschera ero pronto anche quel giorno che andai a prendere Stefano in quel di Sassari. Le sue condizioni erano critiche da dover prendere una decisione in tempi rapidi. E quella che presi su la giusta". Di quella missione si parla per giorni sui giornali, perché l'infermiere sassarese è il primo italiano colpito dall'Ebola e perché la barella di "biocontenimento" dell'Aeronautica è uno dei pochi esempi al mondo. Si spera serva a poco, si sfrutta durante le esercitazioni e si rivela preziosa con l'invasione del Covid. "Per Marco - ricorda l'infermiere sassarese - ero semplicemente uno sconosciuto: uno sconosciuto che stava male e che lui aveva giurato di salvare ad ogni costo". "Il giorno che ho salvato Stefano - si commuove il colonnello Lastilla - sentivo che non dovevo lasciarlo e dopo cinque anni ho capito che era lui che non doveva lasciarmi. E infatti mi aspettava per prendersi cura di me. Il bene va e ritorna". Tra il 2015 e il 2020 quasi si ci dimentica di quel dramma evitato e della disavventura di Stefano Marongiu. Al quale la vita cambia comunque. Perché durante il periodo di ricovero ritrova Roberta: l'infermiera conosciuta in Sierra Leone che lavora proprio allo Spallanzani e che assiste l'agonizzante compagno di avventure africane. Dalle cure all'amore il passo è breve e così i due si ritrovano dallo stesso reparto allo stesso tempo: marito e moglie, uniti da una storia che di per sé sarebbe già da copertina.

L'ultimo capitolo è quello che si apre con la pandemia scatenata dal coronavirus. A beccarsi il Covid è quel dottore in divisa che Stefano e Roberta non avevano mai perso di vista. Le cose pure stavolta sembra che non accadano per caso e così Marco Lastilla viene ricoverato nel reparto in cui lavora proprio Stefano Marongiu, che nel frattempo ha lasciato il 118 di Sassari e si è trasferito a Roma. Ovviamente allo Spallanzani: un luogo in cui si sconfiggono le malattie e dove soprattutto si alimenta la vita. Stefano Marongiu non è arrivato in ritardo: "Marco aveva bisogno di me e io non potevo tirarmi indietro. Ogni sera che andavo in ospedale ripetevamo il nostro rituale, quello di radergli la barba. Un gesto semplice che assicurava maggiore tenuta alla maschera dell'ossigeno ma anche un modo, almeno per me, di potergli stare più vicino. La mattina che mi ha chiamato e mi ha detto di essersi fatto la barba da solo ho realizzato di aver finalmente ritrovato un amico".
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