La chiamarono “la fotografa delle dive” (titolo per altro condiviso con molti colleghi), e non è che fosse scorretto: ma è come definire Leonardo da Vinci un pittore. Quanto meno riduttivo. Eve Arnold fu molto di più di un occhio puntato sulle attrici di Hollywood. Certo: se Norma Jeane Baker diventò Marylin Monroe, intesa come icona della bellezza americana nell’epoca felice (o così sembrava) del dopoguerra, fu anche merito di quell’altra donna, assai molto meno nota dell’attrice, che stava dall’altra parte dell’obiettivo.

Ma il glamour e lo star system furono solo uno dei tanti mondi diversi che Arnold seppe descrivere, con uno sguardo “sociale” molto marcato. Non solo: nel suo secolo di vita, dal 1912 al 2012, quella ragazza americana, ebrea di origini russe, dimostrò che anche una donna poteva eccellere in un’arte che, quando lei era giovane, sembrava riservata agli uomini. Non foss’altro che per il peso notevole delle apparecchiature.

Doppia esposizione

Di Eve Arnold si è riparlato molto in Italia nel 2023 per via di un’importante mostra dedicata ai suoi lavori, ospitata prima a Torino, al Centro italiano per la fotografia, da febbraio al 4 giugno; mentre a partire dal 23 settembre (e fino al 7 gennaio 2024) la si può vedere al Museo civico San Domenico di Forlì. Oltre 150 istantanee che riassumono una carriera molto originale, e rendono appunto l’idea della grande versatilità dell’arte di Arnold. Tra l’altro la doppia esposizione di Torino e Forlì è organizzata in collaborazione con Magnum Photos, la notissima agenzia fotografica fondata nel 1947 da alcuni nomi storici del settore, tra cui Robert Capa e Henri Cartier-Bresson: fu proprio quest’ultimo ad “arruolare” Eve Arnold, prima donna in assoluto a far parte della squadra, come free lance, e qualche anno dopo prima donna ad assumere la qualifica di socia.

E dire che la fotografia fu per lei una passione relativamente tardiva, e incontrata in modo quasi casuale. Nata Eve Cohen (il cognome Arnold lo prenderà poi dal marito, e lo conserverà anche dopo il divorzio), trascorse la gioventù a Philadelphia e il suo primo obiettivo fu la laurea in medicina. Ma lasciò gli studi a metà, e si trasferì a New York per lavorare in uno stabilimento che sviluppava rullini fotografici. Anche Eve iniziò a fare qualche scatto con una macchina che le aveva regalato il suo fidanzato. La svolta arrivò nel 1948, anno in cui frequentò un corso di fotografia di sei settimane. Nello stesso periodo, da una domestica venne a sapere dell’esistenza di alcune sfilate di moda ad Harlem, semiclandestine, messe in scena da modelle e stilisti afroamericani. Le foto di quelle passerelle di periferia, e ancor più delle scene dietro le quinte, rivelarono subito il talento fuori dal comune di Eve, l’uso particolarissimo della luce, la capacità di fissare sulla pellicola attimi significativi. E di tutto questo si accorse uno dei docenti del corso, Alexey Brodovitch, grande designer e direttore di Harper’s Bazar, che invitò la giovane a continuare su quella strada. Era ormai nata una nuova fotografa professionista. 

Una modella afroamericana nel 1968 (Eve Arnold/Magnum Photos)
Una modella afroamericana nel 1968 (Eve Arnold/Magnum Photos)
Una modella afroamericana nel 1968 (Eve Arnold/Magnum Photos)

I legami con la comunità nera si consolidarono e Arnold si trovò a documentare la crescita del movimento dei Black Muslims e della personalità di Malcom X. Cartier-Bresson la notò e la chiamò con sé proprio dopo aver ammirato questi lavori. La collaborazione con la Magnum Photos porterà poi Eve a conoscere il mondo rutilante dell’industria cinematografica, a partire da un servizio dedicato a Marlene Dietrich, ma senza che questo potesse eliminare in lei l’interesse per il genere di scatti con cui si era fatta conoscere: un altro servizio realizzato in quegli anni e passato alla storia, “I primi cinque minuti di vita di un bambino”, ebbe come teatro la sala parto di un ospedale di Long Island, e regalò immagini eccezionali – all’epoca molto rare – di neonati appena partoriti.

L’attenzione al sociale, e i primi reportage di viaggio (tra cui quelli a Cuba e nell’Unione Sovietica), non le impediranno di diventare amica di Marilyn Monroe, conosciuta a una festa e poi fotografata in molteplici circostanze, sul set ma soprattutto fuori: l’attrice era già famosa, ma gli scatti di Eve Arnold contribuirono ad affermarne quell’immagine, conturbante e al tempo stesso fragile, che ha poi sfidato il tempo e la rende ancora oggi una star amatissima, a oltre sessant’anni dalla sua morte.

Forse perché abituate a venire inquadrate da obiettivi manovrati da uomini, le donne di Hollywood sembravano inclini ad aprirsi allo sguardo di Eve Arnold con particolare confidenza: varrà anche, tra le tante, per Joan Crawford e più tardi per Elizabeth Taylor.

La stagione londinese

Nel frattempo, arrivati gli anni Sessanta, Arnold divorzia e si trasferisce a Londra per agevolare gli studi del figlio. Ma non perde i suoi contatti, anzi. Dalla capitale britannica, che resterà il suo quartier generale fino alla morte, parte per i suoi servizi in tutto il Regno Unito (raccontando tra l’altro la condizione delle operaie inglesi o la vita nei monasteri) e nel resto del mondo: comprese alcune mete allora molto misteriose e inaccessibili, come l’Afghanistan, la Cina e la Mongolia.

La sua opera vira verso il fotogiornalismo, il mondo del cinema riappare nelle raccolte dei primi anni ma un po’ come un amico lontano. La capacità di entrare in sintonia con le altre donne le consente però di catturare negli anni Ottanta un altro “scalpo” prestigioso: la regina Elisabetta. Gli ultimi anni si trasformano in una collezione di premi e riconoscimenti: quando Eve Arnold si spegne a Londra, tre mesi prima del centesimo compleanno, verrà celebrata unanimemente come “una delle più grandi fotografe del ’900”.

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