Da Clubhouse a Tik Tok: vizi e virtù
Intervista al Luca Maniscalco, autore del libro Afferma il tuo brand con LinkedinPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Nell'epoca dei social il personal branding è una realtà: visibilità individuale. Personale o professionale. Chiunque può farsi un selfie, postarlo e scrivere: su se stesso. E poco importa se non interessa a nessuno. Bastano i like di amici e parenti e va bene così. "Per attirare follower servono i contenuti". Luca Maniscalco, digital marketing manager alla Rcs Academy di Milano, si occupa di progetti digitali, social e web marketing. Sa tutto, o quasi, del mondo che attira giovani e pensionati, persone di cultura e non, politici e professionisti. Del resto, è proprio grazie a un social se, dopo la laurea a Palermo in Comunicazione e marketing, ha trovato lavoro alla prestigiosa università Bocconi nel campo della strategia digitale. "Lavoravo in un'agenzia di Pavia, ho visto una job position su LinkedIn e mi sono candidato".
Allora funziona.
"Per i giovani fra i 20 e i 30 anni in cerca di primo o secondo lavoro senz'altro, dai 35 in su è più uno strumento relazionale: dal contatto si crea la relazione e da lì la possibilità di una nuova occupazione".
Si è appassionato al punto da scrivere un libro utilissimo per capire a fondo il social delle professioni: Afferma il tuo brand con LinkedIn, edizioni Webbook.
"Nel 2007 nessuno lo conosceva. Avevo fatto un progetto per un ente fieristico e la responsabile marketing mi aveva parlato di LinkedIn come di un sito. Era l'epoca in cui ognuno faceva la sua intranet, una rete privata aziendale isolata da quella esterna. Mi sono iscritto e ho cominciato a studiarne i meccanismi".
Lo ha venduto prima ancora di scriverlo: è bastata l'idea.
"Per i tecnici non è un libro tecnico, per gli altri sì: questo stare a metà ha funzionato. L'argomento lavoro è sempre di attualità e LinkedIn è un social interessante per i neo laureati".
Davvero è utile per i giovani in cerca di lavoro?
"Caspita, per forza: le aziende suggeriscono di aprire l'account dopo uno stage. Il profilo social serve al di là del curriculum cartaceo".
Il social del momento però è Clubhouse, anche se ci sono già problemi di chat violate.
"Nasce sulle ali dell'entusiasmo: il modello di business e la privacy vengono dopo. E' un social partito dall'alto, con i Vip, è riservato a persone che possono spendere visto che è utilizzabile solo con l'IPhone e, soprattutto, è necessario l'invito, il che lo rende esclusivo".
Come spiega il successo di un social con sole voci dopo l'abbuffata di foto, video, pranzi, tramonti, gattini e balletti?
"Da qualche tempo hanno grande successo i podcast e anche i dati delle radio sono in crescita. A differenza del podcast - dove vuoi, quando vuoi - a Clubhouse occorre prestare attenzione ma il fatto di entrare in una stanza con Elon Musk attira le persone assetate di personal branding. Attenzione, però: in un regno dove sono tutti guru nessuno vale più dell'altro".
Poi arriva Mario Draghi che non ha account social.
"Personalmente no, in realtà i profili istituzionali ci sono. Ha chiamato da Bankitalia Paola Ansuini come responsabile della comunicazione: il presidente del Consiglio dei ministri non è silente, comunica in modo diverso. L'ex premier Giuseppe Conte faceva le conferenze stampa dal suo account facebook, Draghi ha scelto i canali istituzionali ma, se si va a guardare youtube, c'è almeno un video al giorno del Consiglio dei ministri".
Come il Capo dello Stato Mattarella.
"Sarà interessante vedere come gli altri leader politici reagiranno: oggi sembrano in silenzio ma quanto durerà"?
Forse è finito il rumore dei falsi post.
"Forse. Le campagne no vax però ci sono ancora. Ed è solo un esempio".
Twitter ha conquistato la cronaca per la censura a Trump.
"Ci sono regole, firmi un contratto privato e sai che se inciti all'odio vieni bannato. Trump è un privato ma ha una carica pubblica".
E che carica: presidente degli Stati Uniti.
"Bisogna chiedersi se sia corretto che un privato abbia il potere di gestire chi parla. Ancora di più se è un politico di primissimo piano".
Qualcosa sta cambiando?
"Nel mondo di internet di sicuro. Basti guardare l'Australia: una sentenza recente obbliga Google a pagare per condividere i testi dei giornali".
E' la fine di internet libero?
"Internet, i social in particolare, sembrano mettere sullo stesso piano player di primo piano e fake news: le regole sono necessarie".
Il caso Tik Tok: giovanissimi attratti da giochi perfino mortali.
"Il garante italiano ha ottenuto un risultato molto positivo imponendo la verifica dell'età minima di tredici anni. E sta pure facendo uno spot con Telefono Azzurro: se non hai l'età i social possono attendere".
Siamo alla svolta.
"Siamo liberi ma con regole, non siamo schiavi ma neanche nel Far West".
Eppure Tik Tok in America va fortissimo mica tra i giovani: il presidente Biden ha 40 milioni di follower e i principali giornali hanno profili su quel social.
"E' giusto comunicare con un diverso linguaggio. Chi fa politica va in quei luoghi in cerca di consensi, lo stesso vale per le aziende: per chi si occupa di marketing Tik Tok è una bella piazza".
Si monetizza tutto: alla fine si pagherà anche per entrare nelle stanze di Clubhouse.
"Magari no ma ci sarà la pubblicità della Tesla di Musk, forse. Ricordiamo la frase cult del documentario su Netflix: se non paghi il prodotto, il prodotto sei tu".
Nel senso che ognuno lascia i suoi dati.
"E viene targhetizzato a scopo pubblicitario".
A che età il telefonino?
"I figli imitano i genitori, se stai tutto il giorno al telefono faranno altrettanto, se padre e madre leggono un libro o vedono un documentario lo faranno anche i bambini".
Non c'è da aver paura.
"Il telefonino è un oggetto: basti pensare che un appa dell'ESA European Space Agency con i cartoni animati spiega lo spazio ai bambini delle Elementari".