“Sai qual è la carrucola spirituale in grado di elevarci nella vita? La riconoscenza verso coloro che riteniamo ci abbiano ostacolato. È soltanto per loro merito che abbiamo avuto la possibilità di evolvere”.

Era saggio e coraggioso Corradino di Svevia, il principe italo-tedesco che a soli sedici anni, nel 1266, scese in Italia a capo di un esercito per conquistare il regno di Napoli, passato in mani francesi dopo la battaglia di Benevento e rendere il Paese unito e libero dal Papa e dalle potenze straniere, con sei secoli d’anticipo su Garibaldi.

O almeno lo descrive così Diego Cugia nella sua quindicesima opera letteraria, “Il principe azzurro. Gli amori, le battaglie, i sogni di Corradino di Svevia, che a 16 anni osò sfidare il mondo” che lo scrittore-giornalista-regista-autore televisivo e radiofonico ha presentato nei giorni scorsi all’ex convento dei cappuccini di Quartu. “Non è un romanzo storico”, spiega l’autore, “ma una storia vera romanzata”. Una storia che ha richiesto una lunga ricerca nella scarsa bibliografia esistente sul protagonista ma pochi mesi per la scrittura, come ha ricordato Cugia, che nel corso dell’incontro si è rammaricato di non essere nato in Sardegna ma a Roma pur essendo originario di una famiglia nobile sassarese, i Cugia di Sant’Orsola.

L’infanzia del principe con un mantello azzurro è solitaria. Corradino non ha mai conosciuto il padre Corrado, nato e morto in Italia, e vive con la madre segregato in un castello in Baviera. Una protezione – secondo la genitrice - che temeva che il figlio potesse essere assassinato. Del resto a lui spettano per diritto di discendenza il regno di Sicilia e la corona di re dei Romani in quanto ultimo della dinastia degli Hohenstaufen, nipote di Federico I, il Barbarossa, e Federico II, lo Stupor Mundi che ha riempito l’Italia di castelli, di belle arti, di cultura.

Molte delle cose che sa, l’imperatore le deve al suo maestro d’armi, Yesuf, che non gli insegna soltanto a maneggiare la spada e a tirare con l’arco. Da lui, Corradino apprende insegnamenti molto più preziosi, che fortificano il suo spirito, come la capacità di dominare se stesso attraverso la meditazione. «Un vero imperatore raduna il più invincibile esercito dentro di sé», gli dice.

Appena quattordicenne, Corradino decide di rivendicare ciò che gli spetta e a capo di un esercito di fedelissimi marcia su Roma, dove entra trionfante, bello come il sole, sotto una pioggia di petali mentre un coro intona le Laudes Imperiales.

A questo trionfo segue la dolorosa sconfitta che gli inflisse Carlo I d’Angiò nella Battaglia di Tagliacozzo del 1268, nella quale perse molti suoi soldati ma soprattutto uno dei suoi maestri, colui che gli aveva insegnato ad accogliere con gratitudine tutto ciò che la vita ci riserva, nel bene e nel male. Dopo una breve fuga nelle campagne, Corradino di Svevia venne tradito da Giovanni Frangipane, catturato e consegnato a d’Angiò che lo imprigionò a Castel dell’Ovo, dalle cui sbarre osservava i gabbiani che volano alti nel cielo, desiderando di essere libero come loro. Un’illusione, purtroppo. Sa che se volesse, grazie ad uno stratagemma escogitato da sua madre, potrebbe salvarsi ma a un prezzo troppo alto che violerebbe i princìpi per i quali si è sempre battuto, e lui non può accettarlo. Processato e condannato a morte, fu decapitato a Campo Moricino il 29 ottobre 1268. Si concluse così, a 16 anni, la vita di un adolescente coraggioso, nato duca di Svevia, re di Sicilia e re di Gerusalemme, che scelse di rischiare per inseguire il sogno di unificare l’Italia.

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