In principio fu Caronte, seguito da una sfilza di nomi pescati perlopiù dalla mitologia greco-romana. Così nel 2012 diventò prassi – almeno per gli organi di informazione – battezzare le ondate di calore. Termini che nell’estate 2022 - in Europa la più calda dell’èra industriale e post industriale - sono diventati sinonimo di afa insopportabile. A stagione appena conclusa, si tirano le somme e il risultato non lascia dubbi: una nuova fase ha preso l’abbrivio e già spaventa. 

I dati

La conferma arriva dal Copernicus climate change service (C3S), il servizio per le previsioni meteorologiche a medio termine della Commissione europea. Il report è stato diffuso dall’Ansa: «Caratterizzata da ondate di caldo consecutive e molto intense, l’estate 2022 è stata la più calda mai registrata in Europa dopo il 1979, anno in cui sono iniziate le misurazioni ufficiali. Il mese di agosto ha chiuso un trimestre estivo davvero eccezionale per l’Europa: la temperatura si è mantenuta in media 1,34 gradi oltre la norma calcolata nel trentennio 1991-2020. Questa differenza rende quella del 2022 l’estate più calda della nostra storia recente (dal 1979), staccando il precedente record (2021) di ben 0,4 gradi, e quelle del 2012 e 2018 di 0,5 gradi. Persino la terribile estate del 2003 è risultata essere più “fresca”».

Caldo estremo

Le ondate di calore mettono a rischio l’ecosistema del Mar Mediterraneo. Scrive il documentato sito ilmeteo.it: «Hanno generato temperature estremamente elevate nel Mar Mediterraneo, un dato su cui gli specialisti mettono in guardia, poiché se si ripetesse nei prossimi anni ciò avrebbe conseguenze sulla vita marina». Altro problema: gli incendi. Freja Vamborg, ricercatore del C3S, sintetizza così: «Per quelli boschivi, direttamente correlati all’eccezionale ondata di caldo che ha attraversato il continente, i 27 paesi dell’Unione Europea hanno registrato un record a metà agosto, con oltre 660.000 ettari bruciati. Anche regioni che solitamente erano rimaste al sicuro dalle fiamme, come le foreste della Bretagna francese, sono state colpite».

La siccità

Ha colpito duro le colture e l’economia, la Coldiretti conferma: «Il costo complessivo supera i 6 miliardi, più o meno il 10 per cento della produzione nazionale». Entra nel dettaglio il sito Quifinanza.it: «Le campagne italiane sono allo stremo, con cali produttivi del 45 per cento per mais e i foraggi per animali. L’effetto negativo si riverbera a cascata in tutta la filiera: crolla del 20 per cento la produzione di latte nelle stalle, del 30 quella di frumento duro per la pasta, di oltre il 20 per cento quella di frumento tenero, del 30 quella del riso e del 15 per cento di frutta, letteralmente ustionata da temperature di 40 gradi». Non va meglio alle colture marine: «Scende del 20 per cento la produzione di cozze e vongole, uccise dalla mancanza di ricambio idrico nel Delta del Po», in Sardegna pesantemente danneggiati gli allevamenti di Olbia.

Il battesimo

L’abitudine di dare un nome alle ondate di calore è mutuata dagli uragani che flagellano il Nord Atlantico, il Pacifico e l’oceano Indiano. Il Corriere della Sera tempo fa chiarì le differenze: «L’idea venne al meteorologo Antonio Sanò, direttore del sito Ilmeteo.it. Solo che nei casi degli uragani c’è un organismo internazionale che sovrintende all’assegnazione dei nomi secondo regole ben precise, in Italia è una decisione unilaterale. Per esempio la Protezione civile nei suoi bollettini non fa alcun accenno alla terminologia e così gli altri siti di previsioni meteorologiche». Ma forse anche questa rigidità è destinata ad ammorbidirsi.

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