Esagerato dire che per lui comincia una nuova vita. «Per me è la continuazione di un percorso di vita». Alberto Cavasin avrebbe dovuto diventare commissario tecnico della nazionale del Congo, invece ricomincia da Bari Sardo la sua carriera da allenatore. Lo ha ingaggiato Roberto Ibba, dirigente navigato del calcio sardo, tornato da Cagliari in Ogliastra per rivitalizzare un club caduto in basso. «Ho avuto modo di conoscere una persona speciale - dice il tecnico del suo presidente - che mi ha portato nella comunità di Bari Sardo, dove ho apprezzato la tranquillità e la serenità dei sardi. È un popolo di cui conoscevo da tempo le virtù, ora ho modo di toccarle con mano».

Alberto Cavasin e\u00A0Roberto Ibba (foto Tonio Pillonca)
Alberto Cavasin e\u00A0Roberto Ibba (foto Tonio Pillonca)
Alberto Cavasin e Roberto Ibba (foto Tonio Pillonca)

Dalla Serie A ai campi (non più polverosi perché nel frattempo hanno inventato il sintetico) della prima categoria. Dallo stadio del Mare di Lecce che gli fruttò la Panchina d’oro (due salvezze consecutive alla guida dei salentini), al Circillai, dai gol di Cristiano Lucarelli a quelli, ipotizzabili, di ragazzi oggi sconosciuti che con il condottiero veneto in panchina dovranno riportare i biancoazzurri nel calcio sardo che conta.

Cavasin davanti alla spiaggia della Torre a Bari Sardo (foto Pillonca)
Cavasin davanti alla spiaggia della Torre a Bari Sardo (foto Pillonca)
Cavasin davanti alla spiaggia della Torre a Bari Sardo (foto Pillonca)

Trevigiano, classe 1956, carattere forte e deciso, Cavasin era un terzino d’acciaio. E da allenatore ha sempre esibito la stessa tempra, tra le gioie degli esordi e i dolori del crepuscolo. La salvezza miracolosa dei pugliesi, la resurrezione della Fiorentina dalla C2 in su, la tappa dolorosa di Genova, chiamato in corsa per salvare la Sampdoria che invece finì con lui nel baratro. La ferita è ancora aperta, ma lui ci scherza su. «Quando allenavo a Malta mi fermarono alcuni ragazzi italiani. Volevano fare un selfie con me. Mi riempiono di elogi. Poi mi dissero che erano genoani, volevano semplicemente ringraziarmi perché ero l’allenatore che portò i blucerchiati in B».

A dire il vero in quella Samp le colpe furono molteplici, le storture tantissime, l’allenatore chiamato in corsa soltanto un capro espiatorio. «Santo subito», auspicarono in uno striscione i tifosi del grifone.

Da allora è cominciata la parabola discendente. Cavasin oggi è diverso rispetto all’uomo spigoloso e duro del passato. Ha smussato le asprezze del suo carattere, lasciato spazio alla sua giovialità. L’aveva anche da ragazzo, ma la nascondeva dietro la corteccia dell’inflessibilità. Approda in Ogliastra non per soldi ma per rimettersi in discussione. «La decisione – dice - è stata facile, in un momento della mia vita in cui avevo voglia di sentire nuovamente l’odore del campo». Una ripartenza nella ripartenza. «Bari Sardo non rappresenta una nuova vita ma la continuità della mia vita. Alti e bassi, è la mia storia. Mi trovo a mio agio da questo punto di vista. Oggi mi riscopro in un posto meraviglioso, insieme a quella che è la mia natura, la mia vita sul campo di calcio». Avrà a disposizione giocatori esperti, alcuni stranieri. La squadra è ancora un cantiere, con tanti giovani. «Il calcio nasce con i giovani, il giovane si avvicina al calcio perché ce l’ha nell’anima. Noi ne abbiamo qualcuno, valorizzare i giovani per me è sempre stata una delle cose più belle, congiuntamente ai risultati che la società mi chiede. Come professionista e come uomo voglio fare crescere giocatori che possano fare questo sport meraviglioso».

Porta con sé un bagaglio di esperienza prima maturato da giocatore e poi da tecnico. Sul campo ha vissuto incroci con autentici fuoriclasse. Perfino con il più grande di tutti. «Il giocatore più forte che ho marcato è stato Maradona, ma ho avuto a che fare con gli altri grandissimi campioni che in quell’epoca giocavano in Italia. Penso a Van Basten, Zico, Baggio, Rossi».

Il più forte che ha allenato? «Del Piero, in giovane età, quando ho guidato per sei mesi il settore giovanile del Padova. Le punizioni le batteva già come le ha sempre battute da grande. Non era difficile, fin da allora, prevedere un futuro luminoso per lui».

Tra i difensori italiani di oggi il prototipo resta Chiellini. «Dimostra di essere un difensore di vecchio stampo. Vero, puro, sempre concentrato e determinato. Nonostante l’età». Se pensa a un attaccante che oggi gli toglierebbe il sonno non ha dubbi. Cita Messi. «E poi Mbappe e Neymar».

Da tecnico i suoi successi migliori li ha ottenuti con il 3-5-2 (due marcatori e il libero, quando ancora due dei tre difensori centrali agivano in funzione francobollo), ma non è un integralista.  A Bari Sardo ipotizza di giocare con la difesa a quattro, «il resto dipenderà dai giocatori che avrò a disposizione». Di certo la prudenza non gli manca. «Quando allenavo il Fiorenzuola, agli albori della carriera, avevo progettato un calcio spregiudicato, offensivo. Erano arrivate sconfitte a raffica. Ho cominciato a vincere quando ho schierato due linee da cinque, garantendomi sicurezza nel recupero palla».

Cavasin dà disposizioni a un giocatore (foto Giorgio Melis)
Cavasin dà disposizioni a un giocatore (foto Giorgio Melis)
Cavasin dà disposizioni a un giocatore (foto Giorgio Melis)

Tutti sono curiosi, adesso, di sapere come giocherà il suo Bari Sardo. Ha l’obbligo di vincere subito, è stato ingaggiato per questo, e il presidente Ibba non sta lesinando sforzi per mettergli a disposizione giocatori di grande qualità. Intanto un primo assaggio di quanto sia duro affrontare le squadre di Cavasin lo ha già avuto il Lanusei, formazione di Serie D, che è stata bloccata sul pari dal Bari Sardo in un triangolare e ha vinto il torneo soltanto ai calci di rigore. Aspettando il verdetto del campo l’allenatore trevigiano è tornato al centro dell’attenzione. Tv, radio e giornali nazionali lo cercano per intervistarlo. Per capire come sia tornato a nuova vita. «Alti e bassi. Questa è la mia vita».

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