Se fosse un grafico, sarebbe una curva che col passare degli anni sale sempre più su. E non è un bel segnale. Il problema della violenza da parte degli agenti di polizia, negli Stati Uniti, riemerge periodicamente all’attenzione delle cronache quando avviene in favore di telecamera, come il recente pestaggio mortale ai danni di Tyre Nichols a Memphis: in quel caso, il video ripreso da un’apparecchiatura di sorveglianza ha mostrato cinque agenti che infierivano sul 29enne ormai a terra e ammanettato, e le immagini di quelle botte ingiustificate hanno fatto nuovamente divampare le manifestazioni di protesta contro le forze dell’ordine in molte città americane.

Ma anche quando non c’è un occhio elettronico a riprendere la scena, il problema resta immutato e anzi – come si diceva – il fenomeno sembra peggiorare col tempo, anziché affievolirsi. È addirittura un crescendo, tanto che il 2022 è stato l’anno peggiore, almeno tra quelli recenti per cui esiste una sorta di censimento delle persone uccise (a colpi di pistola) durante un arresto: sono stati registrati addirittura 1.096 episodi di questo genere, quindi in media tre al giorno. Tra queste vittime, una era una bambina di appena due anni.

La statistica

L’anno prima il conteggio si era fermato a 1.048, nel 2020 a 1.019. Fino al 2019 si limitava a sfiorare quota mille senza superarla: erano stati 997, e 992 nel 2018. Le cifre provengono dal database organizzato dal quotidiano statunitense Washington Post, che a partire dal 2015 raccoglie tutti i casi in cui, in qualsiasi angolo degli Usa, un fermo di polizia si conclude con l’uso fatale delle armi da parte dei tutori dell’ordine pubblico. Secondo le informazioni raccolte dalla testata posseduta dal fondatore di Amazon Jeff Bezos, nel 2022 sono stati solo 15 i giorni in cui nessuno ha perso la vita per mano della polizia.

In realtà il caso di Tyre Nichols, trattandosi di un omicidio compiuto con le botte e non con le pistole, non rientra nelle statistiche del Post: così come non vi rientrò, nel 2020, la vicenda di George Floyd, il 46enne ucciso a Minneapolis il 25 maggio di tre anni fa da un poliziotto che gli schiacciò la gola col ginocchio fino a farlo morire d’asfissia. Era stato accusato dal commesso di un negozio di aver pagato con una banconota da venti dollari falsa. Le ultime, drammatiche parole di Floyd (“I can’t breathe”, non respiro), ripetute a lungo e anche allora diffuse in un video ripreso da un passante col cellulare, divennero lo slogan delle manifestazioni e dei tumulti che incendiarono gli Stati Uniti per mesi.

Un fotogramma del video che mostra il pestaggio ai danni di Tyre Nichols (foto Epa/Ansa)
Un fotogramma del video che mostra il pestaggio ai danni di Tyre Nichols (foto Epa/Ansa)
Un fotogramma del video che mostra il pestaggio ai danni di Tyre Nichols (foto Epa/Ansa)

In quel caso la reazione fu provocata anche dal forte sospetto di un’aggravante razziale nel comportamento degli agenti, che erano bianchi mentre Floyd era nero. Era nero anche Tyre Nichols, ma nell’omicidio di Memphis la questione della razza si pone diversamente: dato che sono afroamericani pure i cinque agenti accusati di aver provocato la morte di quel giovane, picchiandolo per quattro minuti mentre lui non era in grado di difendersi né di scappare.

Le analisi

Forse proprio per questo la morte di Nichols ha suscitato, oltre ai soliti tumulti per altro sopiti abbastanza rapidamente, anche alcune riflessioni più profonde sull’atteggiamento della polizia. Le implicazioni razziali, in generale, non vengono certo escluse: i dati del Washington Post mostrano che la media di cittadini neri uccisi dalla polizia ogni anno è pari a 5,9 per milione di abitanti, mentre per i bianchi (non ispanici) si ferma a 2,3 per milione. Si può pensare che, per ragioni socioeconomiche, tra la popolazione afroamericana vi sia un maggior tasso di criminalità; altri studi compiuti sui numeri delle persone fermate dagli agenti, però, segnalano che resta comunque più probabile, per un nero, che il controllo delle forze dell’ordine finisca in maniera tragica.

Non è facile capire il perché di questo incremento delle uccisioni anno dopo anno. Tra l’altro, secondo l’Fbi, non si verifica una crescita parallela degli omicidi di agenti in servizio, calati dai 61 del 2021 ai 49 del 2020. Proprio un recente articolo apparso sul Washington Post, firmato da Steven Rich, Andrew Ba Tran e Jennifer Jenkins, spiega che gli esperti sono molto prudenti sul tema. “Difficile dire se l’aumento abbia un significato o sia causale”, avverte Justin Nix, criminologo dell’Università del Nebraska. Anche perché in tutto il Paese esistono più di 18mila dipartimenti di polizia.

Va detto che molte delle persone uccise erano armate (più del 50 per cento), e infatti c’è chi mette in correlazione l’aumento di episodi tragici con quello delle vendite di armi per la difesa personale. Ma prevedibilmente vengono sollevati molti dubbi anche sull’addestramento e sulle regole di ingaggio della polizia. I primi due mesi e mezzo del 2023 stanno procedendo sulla falsariga degli anni precedenti, ma con un leggero rallentamento del fenomeno: 2,83 omicidi al giorno anziché tre esatti. Ma potrebbe essere un dato legato alla stagione invernale, in cui c’è meno gente in giro per le strade. Di sicuro, in un Paese che tende spesso a esaltare – anche in maniera molto retorica – l’opera delle sue forze armate e dei tutori della sicurezza pubblica, è sempre più necessaria una ricomposizione sociale che ricrei la fiducia reciproca tra i cittadini e gli agenti incaricati di mantenere l’ordine.

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