Non era un tipo facile.  Neppure il suo nome lo era. “Aveva un nome lungo, complicato per i titolisti, per i cori da stadio”, racconta Giorgio Porrà nell’ultima bellissima puntata de “L’uomo della domenica” in onda su Sky. “Inevitabile accorciarlo. Agostino Di Bartolomei diventò Ago o Diba, in fondo più in linea con la sua indole, lo stile asciutto, con quel modo ermetico di relazionarsi col mondo”. Agostino Di Bartolomei è stato unico. E ancora oggi, 40 anni dopo quello storico scudetto conquistato con la Roma di Liedholm e Falcao, lo è. Per capire perché non sbiadisce l’immagine di questo uomo amante dell’arte e dotato di una sensibilità fuori dal normale, bisogna guardare “Dritto al cuore” l’ultima puntata de “L’uomo della domenica”. Un’ora di storie, racconti, testimonianze intrecciate da Giorgio Porrà con la solita e straordinaria potenza narrativa che, stavolta però, mette i brividi. Un po’ per la storia del personaggio: Agostino Di Bartolomei, mitico capitano della Roma anni Ottanta, lo scudetto nel 1983 e la successiva Coppa dei Campioni conclusa con il dramma sportivo della finale persa proprio a Roma. E da cui deriva quella coincidenza che si trascina dentro pensieri lancinanti: Di Bartolomei si suicida con un colpo di pistola al petto dieci anni dopo quella finale, nello stesso esatto giorno. Un po’ (soprattutto, diciamolo pure) per come il giornalista cagliaritano riesce a raccontare l’uomo, il calciatore, la sua vita.

Tra Ago, romano di Tormarancia, e la Roma non era amore. Di più: erano viscere. Si lamentava che la società giallorossa lo avesse costretto a traslocare e non lo avesse mai più cercato. Quando esultò dopo aver segnato il gol del 2-1 in un Milan-Roma Ago aveva la maglia del Milan. I romanisti si sentirono a loro volta traditi. Al ritorno lo fischiarono. Raccontano che in quella occasione lui rischiò di prendersi a pugni con Ciccio Graziani. E che l’Olimpico si divise. Ma non per molto. Perché Di Bartolomei era più forte di qualunque tradimento. Si ritirò dopo aver riportato in B la Salernitana. Era convinto che il calcio non lo volesse più. Forse aveva ragione. Era troppo perbene. “Era uomo, Di Bartolomei, anche di rara sensibilità”, racconta ancora Porrà ne L’Uomo della domenica. “Il profilo basso, l’anima blindata in un pugno, lo sguardo sempre oltre, oppure rivolto su di sé, dentro di sé, a investigare di continuo attorno alle proprie tante inquietudini”. Una vicenda umana e sportiva potentissima, la sua, tanto quanto le sue leggendarie punizioni. Con quel drammatico capolinea del 30 maggio 1994 a imporre tante riflessioni ancora oggi. “Quel giorno, a San Marco di Castellabate, nel Cilento, il suo rifugio, il suo esilio”, racconta ancora Porrà, “Agostino Di Bartolomei, a 39 anni, scelse di aprire, da solo, l’ultima porta, scivolando nel buio. E lasciando dietro di sé una ininterrotta scia di dolore. Assieme ai troppi interrogativi irrisolti”. Luca, il figlio, di Agostino Di Bartolomei, intervistato pochi giorni fa dal Corriere della Sera racconta che quando “si è ucciso e ho provato tanta rabbia: ora ho ricominciato a chiamarlo papà”.

Per chiunque, non solo per chi è appassionato di calcio, lo speciale di Giorgio Porrà è un documento imperdibile. Da conservare e divulgare, possibilmente. 

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