Sostituire, ricostruire, ristrutturare. Sono le tre vie del destino per gli stadi al tramonto. Società di calcio, amministrazioni locali e appassionati si dividono quando nasce l'esigenza di avere un nuovo campo di gioco per le società di calcio. Tema caldo, anzi scottante, di indifferibile attualità in un Paese come l'Italia che, calcisticamente parlando, cade letteralmente a pezzi.

Il caso di San Siro è l'ultimo in ordine di tempo e ripropone la triplice opzione a un quesito cruciale: cosa fare quando lo stadio non va più bene? La situazione impianti in Italia è disastrosa. Si fa prima a individuare ciò che funziona, cioè gli stadi nuovi. Che si contano sulla punta delle dita: l'Allianz Stadium di Torino, la Dacia Arena di Udine (la cui tribuna principale è del 1976 e il resto del 2017), il Benito Stirpe di Frosinone sono quelli più nuovi; il Mapei Stadium di Reggio Emilia non è nuovissimo (24 anni) ma è stato ristrutturato tra il 2013 e il 2016, quando è diventato la casa del Sassuolo. Infine, tra gli stadi di questo millennio, ce n'è uno provvisorio, la Sardegna Arena.

Lo Stadio delle Alpi di Torino con la pista di atletica (foto Melis)
Lo Stadio delle Alpi di Torino con la pista di atletica (foto Melis)
Lo Stadio delle Alpi di Torino con la pista di atletica (foto Melis)

Degli anni Novanta sono lo stadio del Conero di Ancona, l'Euganeo di Padova, il "Nereo Rocco" di Trieste, l'Arechi di Salerno e il "Franco Scoglio" di Messina. Che già mostrano i segni del tempo. Dopo questi - considerando gli stadi principali, cioè con più di 15mila spettatori di capienza - ci sono quelli realizzati trent'anni fa per Italia '90. Il Mondiale delle notti magiche regalò al patrimonio architettonico dello sport italiano due cattedrali più sfarzose che utili: lo Stadio delle Alpi di Torino, ultimato nel 1990 e demolito 19 anni dopo, e il San Nicola di Bari, la visionaria struttura progettata da Renzo Piano, enorme e dispersiva, che dall'esterno sembra un'astronave.

Si può aggiungere il "Luigi Ferraris" di Genova, perché della precedente costruzione (in parte risalente addirittura al 1910) è rimasta soltanto la facciata della tribuna principale, mentre il resto è stato costruito ex novo. Sono 43 gli stadi che possono contenere più di quindicimila spettatori. Tra questi, un terzo (15) sono stati costruiti in epoca fascista, seppure hanno subito successive ristrutturazioni. Le più evidenti sono quelle di San Siro (il secondo anello fu realizzato nel 1955, il terzo nel 1989), dell'Olimpico Grande Torino (ex Stadio Benito Mussolini, ex Comunale, ex Vittorio Pozzo), ristrutturato e coperto per i Giochi Invernali del 2006, dell'Artemio Franchi di Firenze, progettato da Pier Luigi Nervi, nel quale in vista dei Mondiali del 1990 fu eliminata la pista di atletica (a Firenze esiste l'apposito Stadio "Ridolfi") per avvicinare le gradinate al terreno di gioco, e il "Renato Dall'Ara" di Bologna, anche questo modificato nel '90.

Tornando alla domanda originale, ciò che sono chiamati a decidere a Milano, è stato già affrontato in altre città minori. Diversi sono i casi in cui l'ascesa della squadra di calcio locale ha indotto le amministrazioni - rimaste proprietarie degli impianti - a sacrificare la polivalenza in funzione dell'utilità, destinando gli stadi al solo calcio.

Il San Paolo di Napoli con le gradinate inferiori deserte (foto Melis)
Il San Paolo di Napoli con le gradinate inferiori deserte (foto Melis)
Il San Paolo di Napoli con le gradinate inferiori deserte (foto Melis)

L'esempio lampante di Udine, in cui uno stadio abbastanza integro come il Friuli (costruito nel 1976) è stato modificato per consentire una migliore visuale della partita e assecondare la necessità di rendere gli stadi competitivi rispetto al divano di casa. Perché va innanzitutto ricordato che quasi tutti gli stadi italiani sono stati concepiti quando i campionati non venivano trasmessi in diretta e le gradinate erano l'unico punto di osservazione delle gesta della propria squadra del cuore. In precedenza, analoga scelta di avere stadi "all'inglese" avevano compiuto Reggio Calabria (il "Granillo"), Cesena ("Dino Manuzzi", ex la Fiorita, interamente coperto), Modena nel 2006 (il "Braglia" oggi è per tre quarti coperto) e Parma (il "Tardini" stato rifatto all'80 per cento). In altri casi (Cagliari, Ascoli, per via del terremoto, e Brescia) si sono installate strutture mobili all'interno dello stadio, sulla pista di atletica. Un po' come avvenuto, per esempio a Como, su quella di ciclismo. Il calcio la fa da padrona, i comuni si rendono conto che l'unico modo per scaricare i costi di gestione di questi impianti è affidarli alle società dell'unico sport capace di fare incassi: il calcio. Sin qui chi ha deciso di riconvertire gli impianti.

In altri casi (Juventus) si è deciso di demolire e ricostruire da zero. Quello della Juve, rispetto per esempio a ciò che è avvenuto a Genova nel 1989, è il primo caso di stadio affidato alla società di calcio con concessione pluriennale. Lo Stadio del Giglio di Reggio Emilia (oggi Mapei) era invece stato il primo stadio privato in Italia. Milan e Inter vorrebbero fare la stessa cosa, ma non è detto che costruire un nuovo stadio accanto a San Siro debba significare (come avvenuto a New York per lo Yankee Stadium, o per il Giant Stadiun nel New Jersey o per White Hart Lane a Londra) la demolizione del vecchio impianto. Milano potrebbe - per esempio - decidere di smontare la sovrastruttura indipendente realizzata nel 1989 e tenersi un "Giuseppe Meazza" a due anelli per concerti o altri eventi gestiti direttamente. Lo ha fatto Trieste che quando ha realizzato il "Nereo Rocco" e ha poi riconvertito il "Pino Grezar" in stadio per l'atletica. Infine, la terza e ultima ipotesi.

Lasciare il vecchio impianto e costruirne uno altrove. Anche in questo caso non mancano gli esempi in Italia. Messina (dal "Celeste" al San Filippo-Scoglio), Salerno (dal Vestuti all'Arechi), Bari (Dallo Stadio della Vittoria al San Nicola). In tempi precedenti, Cagliari (dall'Amsicora al Sant'Elia) o Napoli, quando nel 1959 realizzò il San Paolo e abbandonò il Vomero. In questi casi, non sempre si è trovata una soluzione immediata al problema di cosa fare del vecchio impianto. Rugby, football americano e, quando è possibile, atletica leggera, sono ben lieti di potersi prendere lo spazio. In questo caso, però, i bilanci raramente consentono alle società sportive di sostituirsi alla pubblica amministrazione.
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