Ranieri al Corriere dello Sport: «Cagliari, avevo paura di perdere l’amore che m’ero guadagnato. La Sardegna è il mio scoglio duro»
Il tecnico dei sardi a 360 gradi: «Il bambino dentro me tifa Roma, ma la squadra del cuore dell’io allenatore è rossoblù»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Romano e romanista all’anagrafe, ma il primo amore da allenatore è stato il Cagliari. Claudio Ranieri ha 71 anni, e il prossimo 4 novembre festeggerà 50 anni di calcio professionistico. Intervistato dal direttore del Corriere dello Sport, Ivan Zazzaroni, il tecnico rossoblù ha spaziato su più fronti, a partire da quel calcio moderno intriso di neologismi e terminologie teoriche: «Io vorrei qualche punto in più», dice, «poi potremmo cazzeggiare su tutto».
Eppure nella sua prima esperienza cagliaritana poteva definirsi un innovativo: «Nel ‘15-’18, quando cambiavo spesso sistemi di gioco, venivo criticato perché non capivano. Sbagliavo, insomma, e salvai il Cagliari, stagione ‘90-’91. Ero attuale allora, quando declinavo diversamente il 3-5-2? Lo facevamo tutti», aggiunge, «Solo Sacchi praticava la zona totale, in precedenza Vinicio un po’ nel Napoli. Io facevo l’uno e l’altra, la squadra mi seguiva e riuscii a salvare il Cagliari».
E quando gli viene chiesto quale sia stato, nel corso della sua lunga carriera, il periodo in cui si è sentito veramente realizzato, Ranieri non ha dubbi: «Quando ho capito che potevo fare l’allenatore. I miei tre anni a Cagliari». Poi racconta: «Avevo vinto un campionato di C e la Coppa Italia di categoria, ero stato promosso con il Cagliari in Serie A e l’avevo salvato. Il massimo per un giovane allenatore che non sapeva cosa avrebbe fatto da grande. Capiamo tutti di calcio, a parole, ma pochi lo masticano realmente. In quel periodo mi resi conto che sapevo parlare con la stampa, e prima di tutto con i miei giocatori, i dirigenti, i tifosi, avevo delle idee ed ero in grado di trasmetterle. Provenivo dall’Interregionale e dalla C a Pozzuoli… Tutta la gavetta mi sono fatto, non sono stato un campione al quale hanno dato la Serie A, sono partito da zero. Ecco, quello è stato il momento più bello. Per questo Cagliari, l’isola, la Sardegna è il mio scoglio duro, nei momenti difficili il ricordo di Cagliari diventa importantissimo. E sempre per questo, quando sono stato chiamato, ho riflettuto a lungo, avevo paura di perdere la considerazione e l’amore che m’ero guadagnato».
Poi un passaggio anche sull’attualità, che lo vede opposto a Josè Mourinho. Un collega con il quale il rapporto non era partito benissimo: «È un grande. Non mi va di parlarne bene e nemmeno di dire, ah sì, mi diede del settantenne. Sono cose nostre, cose che abbiamo messo a posto, superato abbondantemente, lui mi ha conosciuto meglio». Poi il bel gesto del portoghese ai tempi di Leicester: «Quando mi esonerarono si presentò in sala stampa indossando la tuta con la scritta CR, che gli devo dire? Solo grazie, è un grande amico, un grande allenatore, soltanto un grande uomo fa cose del genere. Grazie».
Sulle possibilità che venga esonerato ora, sir Claudio non ha dubbi: «Non credo sia difficile. Il giorno in cui mi vedessero depresso, o non più in grado di comandare la barca, sarebbe addirittura opportuno. Se fossi il presidente e vedessi che il mio allenatore non ha più in mano lo spogliatoio, dovrei cacciarlo giocoforza. Non sarebbero certamente i risultati a spingermi al licenziamento. Da uomo di sport mi sento di dire questo, poi ogni presidente è libero di fare quello che vuole ci mancherebbe». E a proposito del rapporto con l’attuale patron, Giulini, Ranieri racconta un aneddoto: «Dopo la promozione gli ho detto: “Presidente, non c’è una persona che mi parla bene di lei. Com’è possibile?”. Lui è un tipo a modo, uno che ci sta col cuore, sempre vicino alla squadra, anche se non lo vedo spesso, ma abbiamo un rapporto franco, leale, con lui mi trovo bene».
Il tecnico ha parlato anche della sua fede calcistica: «Il bambino che è dentro me è sempre romanista. Non l’ho mai nascosto e mai lo nasconderò. Poi sono un professionista e faccio il lavoro per la squadra che alleno, devo ammettere che sono ugualmente tifoso del Cagliari. Il Cagliari è la squadra del cuore dell’io allenatore».
E in Sardegna si chiuderà la sua carriera: «Sarà la mia ultima squadra di club e se arriverà una nazionale che mi interessa beh, perché no».
Infine la scelta del ritorno: «Nessuna questione di A, B, o C. Si trattava di tornare da dove ero partito, dove avevo e ho un rapporto fuori dal normale con la gente. Pensai, e se va male? Se finisce come a Valencia? So di poterli aiutare, ma se non funziona? Ero cosciente del fatto che rappresentasse uno degli ultimi ingaggi. Decisivi gli attestati di stima degli amici di Cagliari, il figlio di Riva che spingeva, “anche papà è contento”. Un giorno Gigi pronunciò queste parole: “Claudio è uno di noi”. Sto pensando a me stesso, il Cagliari è in difficoltà, perché devo essere egoista? È andata così».