"Mi parede Mussolini". Suo nonno così aveva sentenziato durante uno spuntino in cui il suo giovane nipote era abbastanza polemico. E da quel giorno degli anni Trenta Salvatore Marongiu, 98 anni di Thiesi, una vita da panettiere, massaggiatore, dirigente calcistico, persino guardalinee della società, per tutti i thiesini e gli abitanti del Meilogu è diventato Mussolini.

Di Salvatore Marongiu è rimasto solo l'antico ricordo dell'anagrafe, sconosciuto ai più. Mussolini da Thiesi, in realtà apolitico, poi ci ha preso anche gusto. Nell'imitare il duce nei suoi celebri discorsi. Ma anche quelli di altri personaggi noti: come il telecronista Nando Martellini e Padre Manzella. Il suo palcoscenico prediletto le tribune e il campo del suo amato Seunis, poi diventato Polisportiva Thiesi, che ha seguito sin dall'anno della sua fondazione ufficiale: 1946. Dei neroverdi è presidente onorario e nel 2019 Mussolini è stato premiato dalla Figc nazionale come il presidente più anziano d'Italia.

«Mi hanno dato il microfono e non volevo più restituirlo - chiosa lui -. Ho raccontato tanti aneddoti di una vita tra i campi dei dilettanti, dove si celebra il vero sport». Di Salvatore Marongiu sa tanto anche Giandomenico Fantoni, 82 anni, uno dei decani degli allenatori sardi. Altro personaggio straordinario, in panchina ai tempi della grande serie D della squadra negli anni 70. Quella vincente dei vari Costanzo Dettori, Enzo Gavini, Gianfranco Marcellino e Francesco Pinna, bomber e in seguito apprezzato giornalista. «Nel campionato vincente di Promozione regionale del 1972-73 - racconta Fantoni - giocavamo una partita decisiva a Villacidro, che aveva allestito una grande squadra. Nello spogliatoio la tensione si tagliava a fette e la squadra appariva troppo nervosa. Mussolini, allora dirigente, mi fece un cenno, io approvai e lui partì con un famoso discorso. A onor del vero un poco strampalato. Ma fu così simpatico che sciolse la tensione tra i miei giocatori, che disputarono una grande gara e la vinsero 1-0 grazie alla rete di Gianfranco Marcellino». Salvatore Marongiu rimpiange quel calcio. «La domenica con il transistor attaccato all'orecchio e gli occhi sul terreno di gioco - dice lui -. Senza pay tv, orecchini e tatuaggi. Con quelle rivalità quasi tribali fra i vari paesi. Dove i giocatori avevano la maglia attaccata alla pelle e la squadra di calcio aveva un valore identitario. Un simbolo di una comunità. Quello era il mio calcio. Quelli erano i miei valori. Che ancora adesso in tribuna con le mie battute cerco di trasmettere a pubblico e giovani».

Mussolini quando può, accompagnato dal suo grande amico Fantoni, va ancora a seguire la squadra. «Non vedo più bene e a volte mi  faccio raccontare la partita - spiega -. Ma sono contento lo stesso, il calcio è la mia linfa vitale». E quando entra in un campo sportivo del sassarese Mussolini è salutato da tutti con grande affetto. Lui rappresenta in tutto e per tutto il calcio dilettantistico di una volta e quelle atmosfere indimenticabili. Marongiu ha un solo cruccio. «Quello di non poter più fare l'obriere alla festa della Madonna di Seunis. La religione per me è come un pallone».
 

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