Costantino Idini da Porto Torres, noto Tino,  classe 1955, difensore-centrocampista di grandi doti, è stato uno dei giocatori sardi a militare in Serie A nel Cagliari, sia pure in un'annata sfortunata come il 1975-’76, quella della retrocessione in B e del terzo grave infortunio a Riva. Dopo 2 anni di nazionale Under 18 alla corte di Azeglio Vicini, per Tino Idini un altro campionato nei rossoblù tra i cadetti,  poi splendide stagioni in Serie C e B con Spal, Padova, Taranto, Trento e Nuorese, con cui nel 1985 concluse la carriera, prendendosi a cuore le sorti di un ragazzino promettente: Gianfranco Zola, di cui Tino Idini è anche padrino di Cresima.  

 Cosa fa Tino Idini adesso?

"Mi godo la pensione a Sarroch, insieme alla famiglia. Dopo che ho smesso di giocare ho lavorato 29 anni nella raffineria di Moratti come impiegato”.    

E il calcio?

 “Sempre la mia passione. Ho fatto vari anni l'allenatore in squadre dilettantistiche del Cagliaritano e conservo soprattutto un rapporto fraterno con gli ex compagni del Porto Torres, con i quali vincemmo il titolo provinciale allievi nel 1970, arrendendoci 1-0 solo in finale regionale contro il Cagliari”. 

In quell'occasione, ad Oristano, il passaggio con i rossoblù.

“Si, Mario Tiddia, allora allenatore delle giovanili, non mi fece neanche ritornare a casa. Dopo un anno e mezzo Mondino Fabbri mi fece esordire in Coppa Italia contro il Milan. Marcai un certo Romeo Benetti. Andò molto bene”. 

Siete ancora  amici con i vecchi compagni del Cagliari? 

“Certo, ci mancherebbe, ad iniziare da Gigi Piras. Ma a parte Riva, il più grande è stato Brugnera: emanava classe da tutti i pori”. 

Quanto è cambiato il calcio da quei tempi? 

“Moltissimo. Prima eravamo più tecnici, ma potevamo alzare la testa per servire il compagno smarcato. Ora non ti danno il tempo. Se non sei veloce non giochi. Quindi questo calcio sarebbe stato l'ideale per Idini, giocatore dinamico e scattante Penso di si, senza essere presuntuoso. Noi però sapevamo marcare e forse avevamo più cattiveria, quella della strada. Io da bambino non ho mai fatto scuola calcio, come tutti a quei tempi. Come scuola indimenticabili partite nei campetti polverosi di Porto Torres. Sognavamo ad occhi aperti e la nostra squadretta si chiamava Santos. Proprio come quella di Pelé”. 

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