“Uzeda - Do It Yourself”, il documentario sulla leggendaria band catanese arriva in Sardegna
Girato dalla regista Maria Arena, il docufilm riporta sotto i riflettori una storia dai contorni epiciPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Un suono scuro, viscerale, incontenibile, come la potenza del vulcano, che informa la natura della terra da cui proviene. “Uzeda - Do It Yourself”, il documentario sulla leggendaria band catanese, paladina di un underground capace di arrivare lontano, senza perdere le sue radici, arriva in Sardegna, sabato, alle 15, alla Cineteca Sarda di Cagliari. Girato dalla regista Maria Arena, il docufilm riporta sotto i riflettori una storia dai contorni epici, quella di una band, gli Uzeda, che partendo da Catania, sempre fedeli alla loro filosofia DIY (do it yourself, fallo da solo) e all’idea di un suono, che era ed è ragion d’essere, hanno portato la loro musica ben oltre le Colonne d’Ercole della provincia culturale, in cui il rock italiano è rimasto confinato per troppo tempo.
È il 1991, quando Agostino Tilotta e Giovanni Nicosia (chitarre), Raffaele Gulisano (basso), Davide Oliveri (batteria) e Giovanna Cacciola (voce), inviano una demo a Steve Albini, mitico produttore di Chicago, scomparso a maggio, dopo aver segnato per sempre la storia dell’alt rock mondiale, producendo gli album di Nirvana, Pixies, Breeders, PJ Harvey e come frontman di Big Black e Shellac. Un’epifania: innamoratosi del sound degli Uzeda, Albini vola a Catania per produrre il loro secondo disco “Waters”. È l’inizio di una storia incredibile, che vedrà Albini firmare la produzione di tutti i loro album e la band registrare per la BBC e suonare in tutto il mondo, tornando sempre, dopo ogni tour, nella loro Catania.
«“Il miglior piano è non avere un piano”, è la frase che ho spesso sentito ripetere ad Agostino Tilotta ed è così che ho iniziato questo film», ha spiegato la regista. «Un film per scoprire come si può vivere mettendo al primo posto la musica, la ricerca, la sperimentazione, il dialogo con se stessi, un’economia senza plusvalore. I soldi, proprio come la chitarra, il basso, la batteria e le corde vocali, sono solo uno strumento e il suono non è la somma degli strumenti, è altro, è qualcosa di dirompente, che si scatena. Posizione radicale, senza compromessi, che mi ha rapita dal pensiero catastrofico e autodistruttivo, imposto all’immaginario dalla società in cui tutti viviamo».