Sa Razza, Salmo e l'hip hop secondo Quilo, il pioniere del rap sardo
Alessandro Sanna, iglesiente, classe 1973, sta vivendo un buon momento creativo che potrebbe sfociare in nuovi progetti artistici insieme al dj Fabio “Ruido” LeoniQualche mese fa hanno incassato i complimenti di Salmo, che durante un’intervista, parlando della scena rap sarda, in particolare di Sa Razza ha detto: “Loro erano già avanti in quel periodo”. Quel periodo era l’inizio degli anni Novanta. In Italia cominciava a diffondersi la cultura hip hop. E in Sardegna c’era un grande fermento.
Lo sa bene Quilo, al secolo Alessandro Sanna, iglesiente, classe 1973, rapper e producer che ha scritto un capitolo fondamentale nella storia della discografia isolana (e italiana) pubblicando il primo brano rap cantato in sardo. Era il 1992. La formazione sulcitana incideva “In Sa Ia”.
Primo passo di una lunga storia che continua ancora oggi con lo stesso Quilo, che dopo varie esperienze con diverse formazioni tra cui Malos Cantores, sta vivendo un buon momento creativo che potrebbe sfociare in nuovi progetti artistici insieme al dj Fabio “Ruido” Leoni, anche esso protagonista di quella scena musicale che sta per tagliare il traguardo del trentennale. Nei giorni scorsi l’artista iglesiente ha pubblicato il video del singolo “Lucine”.
Pionieri del rap cantato in sardo
Una decina d’anni fa l’etnomusicologo Marco Lutzu ha curato un documentario dedicato al rap in Sardegna, uno dei primi lavori dedicati alla scena hip hop nell’Isola. Recentemente si è occupato di questi argomenti anche Alessandro Pani con il progetto “Marrania”.
Un altro docufilm, l’ultimo in ordine tempo, è stato firmato dall’artista e designer Marco Tanca. Si intitola “In sa ia”, proprio come il brano inciso nel 1992 dai Sa Razza. Sono passati quasi trent’anni da quella prima esperienza discografica, ma Alessandro Sanna ricorda bene quel periodo.
Ci può raccontare il momento esatto in cui ha iniziato a rappare in sardo?
“Bisogna tornare ai primi anni Novanta a Iglesias, in quel Sulcis dove le miniere stavano chiudendo. Quel sogno di sviluppo si infranse in questi grandi progetti industriali che divennero poi la stessa condanna di quel territorio cosi meraviglioso. Il 'Bunker', così chiamavamo la saletta prove dove due ragazzi , KG e Su Rais, ascoltavano i dischi in vinile, vecchie cassette e scrivevano le prime rime. Entrambi eravamo già attivi dal 1987".
Quali erano i vostri punti di riferimento?
“L'ispirazione arrivò dal disco del 'king' dei chicani d'oltreoceano Kid Frost 'la Raza'. Successivamente sentimmo i Sud Sound System e il loro ragga salentino. Avevamo la rabbia giusta, avevamo la cultura hip hop e soprattutto avevamo la nostra lingua, il sardo. Scoprimmo che la condizione di isola era una ricchezza e non una condanna”.
Poi arrivò la prima storica incisione discografica.
“Era il 1992, uscì il primo disco in vinile di Rap sardo 'In sa ia' e 'Castia in fundu'. Nella crew si aggiunse Dj Noize oggi Ruido che diventò il nostro Dj ufficiale. Quegli anni cambiarono la mia stessa vita”.
Come era la scena italiana e sarda di quel periodo? E come è stato l’impatto di Sa Razza?
“Una scena florida messa in moto dai movimenti studenteschi dei primi del Novanta. La cultura hip hop in Italia era ben più antica, successivamente il rap esplose con l’avvento delle cosiddette Posse. Ci sentivamo dei rivoluzionari armati di microfoni e rime. Si portava il messaggio, la controinformazione nelle piazze, nei festival e nei centri sociali occupati. Credo che un po' il rap, in quell'epoca, sia stato strumentalizzato. Sa Razza, che in quegli anni fu prodotta dalla Century Vox di Bologna, si inserì in questo contesto".
I vostri brani iniziarono e passare in radio.
“Fu il grande Luca de Gennaro a trasmettere il 'tape' fatto in casa per la prima volta a Radio Rai. Sa Razza rappresentava di fatto la Sardegna. In quegli anni abbiamo costruito e imparato. Ricordo sempre con affetto la THC di Torino che per me resta una delle mie scuole di stile. Nei testi i temi identitari sono stati sempre presenti. Negli ultimi tempi ha pubblicato lavori in italiano".
Piero Marras, parlando di se stesso, dice di avere un’anima bilingue. Vale anche per lei?
“La lingua sarda è la mia lingua naturale ma sono favorevole al bilinguismo che ancora oggi non è così sviluppato come in altri luoghi. Mi piace giocare con le parole, miscelare italiano e sardo. In uno dei miei ultimi brani da solista, 'Nie', è chiara l'intenzione di usare le due lingue. La lingua sarda est druci. È dolce e scivola bene nelle metriche. L'italiano è più tecnico e ha un vocabolario enorme. Sapessi il cinese forse scriverei testi pure in cinese”.
Come nascono le sue canzoni? Prima il testo o la musica?
“Non c'è una regola. Hai un foglio bianco davanti e una bella strumentale che ti porta dentro un viaggio. Non sempre è un bel viaggio. A volte quando scrivi vai a cercare dentro te stesso e può anche fare male. Scrivere è una catarsi. I miei testi nascono dalla rabbia, dalle esperienze che vivo oppure semplicemente ho solo voglia di più leggerezza”.
Cosa è per lei il rap?
“Per me il rap è pur sempre poesia. Non mi piacciono i tecnicismi troppo forzati o i numeri circensi. Mi piace essere diretto, schietto. Il messaggio è fondamentale. La parola ha un potere grandioso, devi solo essere in grado di trasmettere. Dicevano che il rap fosse la Bbc della comunità degli afro-americani e credo che sia proprio così per tutto il mondo. È la voce delle strade anche se oggi sembra essere la voce di quattro impresari che vogliono tirare su solo 'numeretti' e hype per vendere un po' di pentolame”.
Qualche mese fa Salmo ha parlato bene di Sa Razza. E come spesso accade nel mondo del rap, basta poco per scatenare dissidi e dissing. Cosa ha provato? Sia per ciò che ha detto Salmo, che per le conseguenze?
“Sinceramente non c'è mai stato nessun dissidio. Salmo, che resta uno degli artisti più apprezzati e forti, ha citato Sa Razza come uno dei riferimenti importanti per i suoi ascolti. Questo ci ha fatto veramente piacere. È un artista che conosce bene la musica, lui sta nell'overground, quella terra di mezzo che gli dona credibilità e nello stesso tempo lo rende popolare. Spero un giorno di poterlo incontrare di persona, per ora non abbiamo avuto ancora occasione. La conseguenza migliore quindi è che ci sia il rispetto e magari si possa discutere di musica davanti a una birra artigianale sarda”.
Ci racconta l’esperienza dell’etichetta Nootempo?
“Nootempo è una factory che nasce come marchio nel 2003. Nel 2008 ha iniziato a produrre e seguire progetti artistici e culturali. Il primo artista e amico è stato Randagiu Sardu con il quale avevo inciso la song 'S'arrespiru'. Abbiamo prodotto tanta musica libera. Tutto è visibile e documentato sul portale nootempo.net. Ho seguito e contribuito a far crescere artisti sardi che grazie al nostro lavoro hanno avuto spazio e voce. Nootempo è una piccola realtà che oggi ha messo radici anche a Liverpool dove Gangalistics (G. M. Ganga) segue produzioni e progetti. Noi non costruiamo muri ma ponti culturali. La Sardegna è un eccezionale laboratorio al centro del Mediterraneo”.
Cosa vuol dire essere indipendenti?
“Essere indipendenti significa scommettere su se stessi ed è durissima, perché alle spalle non hai capitali con i quali oggi gli artisti possono fare tanta promozione, non hai majors blasonate o sponsor. Noi con poco abbiamo fatto dei miracoli. Non ci fermeremo. Abbiamo passione e continuiamo a sperimentare, produrre e spingere l'arte residente in tutte le sue forme”.
Ci sono novità in casa Sa Razza? Dischi in arrivo?
“Sa Razza resta ancora oggi un nome importante. Ci tengo a raccontare questa esperienza, proteggerla e conservare la sua memoria storica ma Sa Razza oggi è ancora una realtà. Non mi è mai piaciuto il concetto di musica da museo. 'Stiamo Giù reload', brano voluto da Kumalibre con produzione Rhamez è la testimonianza che con Ruido abbiamo voluto tornare sul beat. Ci sono dei progetti in corso ma il nostro stile è quello di parlare con i fatti, quindi si dovrà aspettare. La reunion di Wessisla messa in campo due anni fa ci ha dato un bell’impulso”.
Segue la scena sarda. Chi le piace?
“Mi piace letteralmente divorare tonnellate di musica. La ricerca fa parte del mio lavoro da artista. Non ho limiti, cerco di ascoltare tutto anche ciò che non mi piace. La cosiddetta scena Rap sarda la trovo un poco povera di sperimentazione ma sempre ricca e attiva. Mi piacerebbe ci sia sempre di più quell'unione che porta a collaborare. Oggi c'è una certa solitudine artistica che non facilita la crescita di nuovi progetti. Ci sono tanti artisti che mi piacciono ma preferisco non fare nomi o classifiche. Chi fa bene lo sa, chi produce roba interessante e un bel messaggio merita sempre di ottenere risultati”.