Non c’è bisogno di presentazioni per una star come Michael J. Fox. Icona indimenticabile del cinema anni ‘80 e ‘90, ha ricevuto la consacrazione a livello internazionale grazie al successo della saga di “Ritorno al Futuro”, legando a doppio filo il suo look fresco e giovanile con l’intraprendenza da giovane ribelle del personaggio di Marty McFly.
Dopo esser diventato un esempio di stile e personalità, entrato di pieno diritto nell’immaginario comune, la star ha dato prova del suo talento fuori dagli schemi in moltissime altre occasioni: dalle commedie per adolescenti come “Voglia di vincere” ai ruoli drammatici, come quello in “Vittime di guerra” del maestro Brian De Palma. Indimenticabili anche le sue apparizioni sul piccolo schermo, tra cui spiccano la sitcom “Casa Keaton” e la serie televisiva “Spin City”, dove ha interpretato il ruolo di Michael Flaherty, performance che gli è valsa ben quattro Golden Globe, due Screen Actors Guild e cinque Emmy Award.
Dopo la diagnosi di morbo di Parkinson nel 1991, Fox ha lottato tutta la vita per trovare un equilibrio tra la salute e la professione. Fin da subito si è impegnato per promuovere la ricerca sulle cellule staminali e ha fondato la “Michael J. Fox Foundation for Parkinson's Research”, organizzazione no profit concepita allo scopo di trovare una cura per la malattia e migliorare la vita di chi ne è affetto, attraverso il finanziamento alla ricerca scientifica e il sostegno all’innovazione medica.
Giusto di recente, in un’intervista al The Times, ha espresso alcune riflessioni sulla patologia, dopo una convivenza di oltre trentacinque anni: «Mi è stata diagnosticata la malattia neurodegenerativa nel 1991, quando avevo 29 anni. Non c'è una linea temporale, non ci sono fasi che si attraversano, non come accadrebbe, ad esempio, con il cancro alla prostata, non sono molte le persone che hanno il Parkinson così giovani. È una malattia molto più misteriosa ed enigmatica. Non voglio inciampare sui mobili o sbattere la testa. Posso camminare, ma non è bello ed è un po' pericoloso con il Parkinson, il cervello subisce danni progressivamente nel corso degli anni».
Proprio in ricordo delle incredibili emozioni provate davanti alla macchina da presa, Fox è attualmente impegnato nella promozione di “Future Boy: Back to the Future and My Journey Through the Space-Time Continuum”, un libro pubblicato lo scorso 14 ottobre, in cui racconta in prima persona le esperienze vissute tra i set di “Casa Keaton” e “Ritorno al Futuro”, quest’ultimo girato all’età di soli 23 anni. Tra i tanti aneddoti presenti nel memorial, ha colpito con non poca sorpresa i fan scoprire che l’attore, in realtà, ha sempre detestato la DeLorean, l’inconfondibile e bizzarra macchina del tempo presente in tutti e tre i capitoli della saga.
Sull’estetica e sulla manovrabilità del veicolo, ha affermato in particolare: «So cosa state pensando... sarà stato fantastico guidare quell'auto! All'inizio lo pensavo anch'io, ma presto ho odiato guidarla. Prima di tutto, ammettiamolo: è una macchina di m***a. Lenta in accelerazione, con finiture scadenti... e questo prima che la nostra troupe degli effetti speciali aggiungesse il proprio contributo. Quegli accessori improvvisati - il flusso canalizzatore, i vari orologi e gli ornamenti - tendono ad essere piuttosto grezzi, metallici e taglienti. Dopo quella prima notte al volante e per il resto del film, le mie mani erano piene di lacerazioni, le nocche contuse e i gomiti ammaccati per aver sbattuto contro la console. Come si dice nel mondo dello spettacolo, il dolore è temporaneo, il film è per sempre».
In un Q&A organizzato per la promozione del libro, Fox ha anche confessato che l’oggetto del set di “Ritorno al Futuro” di cui più si pente di non essersi impossessato è la leggendaria Gibson ES-335, vista nella celebre scena del ballo della scuola: «Sono stato stupido. Avrei dovuto prendere quella dannata chitarra. Non ho idea di come sia potuta sparire. All'inizio ho pensato che uno dei responsabili degli oggetti di scena l'avesse tenuta, ma era troppo costosa perché non finisse da qualche parte. Non eravamo come quelli di Star Wars che si portavano via tutto. Io ho solo il vestito, le scarpe e i gioielli del ballo».
Riflettendo invece, in un’intervista per Empire, su quanto la trilogia abbia resistito al peso degli anni, il divo ha espresso quelle che, a suo giudizio, sono le motivazioni principali: «Penso che molte persone reagiscano al film perché tocca corde che altrimenti non riconoscerebbero. Viviamo in una cultura di bulli al momento. Abbiamo bulli ovunque, non serve che io faccia nomi, ma ci sono bulli dappertutto. In questo film, Biff è un bullo. Il tempo è un bullo».
E tornando ancora una volta a parlare della sua malattia, ha aggiunto: «Per me, personalmente, il Parkinson è un bullo. E tutto il film ruota intorno a come affronti questi bulli e alla determinazione che metti nella lotta contro di loro. Si tratta della tua resilienza e del tuo coraggio».

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