Poche star hollywoodiane possono vantare l’eco e la fama di George Clooney. Divenuto fin da subito un’icona di massa per il ruolo del dott. Ross nella serie televisiva E.R., il divo che ha riportato nel cinema il fascino per il look retrò e la propensione all’eleganza ha dato il suo contributo alla settima arte vantando collaborazioni con alcuni tra i più importanti director viventi, come Terence Malick e i Fratelli Coen.

La strada verso il successo l’ha poi portato a ricevere l’Oscar nel 2006 per “Syriana” come miglior attore non protagonista, e svariate altre candidature come quella per il miglior attore in “Michael Clayton”. Oltre ad esser stato nominato dalla rivista Time tra le cento persone più influenti per quattro anni consecutivi, Clooney non ha mai trascurato l’impatto comunicativo e la presa sul pubblico che derivano dalla fama. Giusto il mese scorso, ricordiamo il suo intervento per il New York Times e la lettera aperta rivolta al presidente Joe Biden, esortandolo a ritirarsi dalla corsa alle elezioni dopo il confronto televisivo col candidato repubblicano Donald Trump.

Di pochi giorni fa è invece l’intervista concessa a GQ UK insieme al collega Brad Pitt per ricordare l’uscita a settembre di “Wolfs - Lupi Solitari”, del regista Jon Watts, che li vede nuovamente insieme in un thriller/comedy pieno di sorprese. Oltre alla promozione del film, dallo scambio coi due attori sono emersi i segnali di una profonda crisi ad Hollywood, dovuta soprattutto alle grandi compagnie che stanno assumendo sempre più il controllo delle piccole case di produzione, come avvenuto per lo studio americano Paramount.

Su questo particolare aspetto, Clooney ha dichiarato: «La Paramount è una delle grandi case cinematografiche originali. Ma in alcuni casi non si ha voce in capitolo. Perché il business si sta consumando. Come ogni cosa, viene divorata dai grandi Walmart e Amazon in tutto il mondo. La nostra versione dei negozi a conduzione familiare in una piccola città potrebbe essere paragonata proprio a Paramount».

Altro punto in questione è che gli attori non sono più al centro dei progetti, e che le case di produzione non sembrano disposte ad investire sui talenti come accadeva prima: «Non hanno sviluppato le star come faceva il sistema anni fa. Eravamo alla fine di questo periodo, in cui potevi lavorare in uno studio e fare tre o quattro film, e c'era una programmazione. Oggi non credo che sia più così. Quindi è più difficile vendere qualcosa a qualcuno sulla presenza di un attore».

Ma al contempo, la star sottolinea che per i nuovi attori è un momento positivo, perché la quantità di lavoro è ben superiore rispetto al passato: «Ma è un momento fantastico per un giovane attore. Perché quando ero giovane io, se guardavi il retro del LA Times ogni lunedì mattina c'erano i 64 spettacoli realizzati. E di questi 64 show, se eri in uno di essi, cercavi di essere tra i primi 20 per mantenere il tuo show in onda. Ma questo era tutto. E poi le case cinematografiche facevano cinque film all'anno. Ora ci sono 600 tipi di show, tra film e serie, quindi c'è molto più lavoro per gli attori».

Immancabilmente è intervenuto anche Brad Pitt, che non ha potuto sottrarsi al ricordo delle esperienze vissute in passato al fianco di Clooney e di altri interpreti internazionali come Matt Damon. Citando un episodio risalente a molti anni prima, ha rivelato: «Sono già passati 40 anni per noi, il che è spaventoso. Ricordo di averne parlato con Matt Damon 25 anni fa, quando ha fatto il suo primo film e ha vinto l'Oscar. Gli dissi: sappi che se fai una carriera di 10 anni, giocando a quel livello, è una fortuna assoluta. Nessuno riesce a mantenerlo più a lungo di così. Quindi sì, sono sorpreso di avere ancora il lavoro».

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