Il successo di critica che sta riscuotendo “Anatomia di una caduta” pare proprio senza tregua.

L’ultimo film della regista e sceneggiatrice francese Justine Triet - già valorizzata in passato per le prestigiose candidature ricevute nel corso di importanti kermesse internazionali - ha stupito tutti alla 76 edizione del Festival di Cannes, aggiudicandosi il premio più ambito della Palma d’Oro con un elaborato filmico assolutamente innovativo nella sua categoria, frutto di una brillante coesione fra “thriller legale” e dramma familiare.

Nell’avvenimento atroce che rende una donna testimone impotente dell’inspiegabile morte di suo marito, oltre allo shock di cui rimane vittima anche il figlio, l’elemento tragico scaturisce dal saliscendi emotivo per la fredda constatazione di non poter dimostrare la propria innocenza. Insieme alle difficoltà legali derivate dal preservare la propria posizione di imputata, assistiamo ad un’escalation estremamente realistica di arringhe giudiziarie tra difesa e capi d’accusa; ma anche all’impatto che suscita la vicenda tra i media, mossi impunemente dalla tentazione di emettere sentenza prima ancora di scoprire la verità.

Un quadro denso e stratificato di elementi narrativi che colpisce soprattutto per la verosimiglianza e attinenza con molti degli episodi di cronaca che richiamano spesso le prime pagine dei giornali, oltre a far scaturire una profonda riflessione sulla natura dei rapporti di coppia.

Proprio su quest’ultimo punto, la regista ha voluto esprimere nel corso dell’ultima Festa del Cinema di Roma alcune considerazioni. Oltre ad aver chiarito il suo rapporto speciale col cinema italiano - apprezzando in particolare le opere di colleghi come Alice Rohrwacher e Pietro Marcello - alla domanda “Chi è il vero villain in una coppia?” la Triet ha risposto nel seguente modo: «Non lo so, una coppia è sempre qualcosa di molto complicato. Il film cerca di vedere la situazione globale, senza giudicare la donna o l'uomo. La donna è il contrario di un tweet: quindi cerco di vedere la situazione da un punto di vista più ampio».

Ed oggi apprendiamo che nel corso della 23 edizione degli European Film Awards 2023 - evento a cura della European Film Academy, nato per favorire le ultime promesse del cinema europeo e svoltosi a Berlino a partire dal 9 dicembre - la pellicola ha conseguito l’ennesimo traguardo internazionale aggiudicandosi ben cinque premi: miglior+ film, miglior regia, miglior attrice (Sandra Hüller), miglior sceneggiatura (Justine Triet e Arthur Harari) e miglior montaggio (Laurent Sénéchal).

Ma non soltanto la pellicola della Triet è stata meritevolmente riconosciuta nel corso degli appuntamenti berlinesi.

Il premio per la miglior interpretazione maschile è andato all’attore danese Mads Mikkelsen - ormai divenuto di fama globale anche dopo la partecipazione all’ultimo episodio della saga di “Indiana Jones” - per la sua performance nel dramma storico di Nikolaj Arcel “The promise Land”, accolto positivamente anche durante la scorsa edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Lo stesso film ha ricevuto anche i premi per la miglior fotografia (Rasmus Videbæk) e per i migliori costumi (Kicki Illander).

Rispetto invece al premo per la miglior rivelazione, a conquistare la giuria è stato “How to have sex”, l’esordio alla regia di Molly Manning Walker che ha precedentemente lasciato il segno a Cannes vincendo il premio nella sezione “Un Certain Regard”.

Atteso nei cinema italiani per l’inizio del prossimo anno, il titolo sarà successivamente disponibile in esclusiva sulla piattaforma streaming MUBI. Menzione onorevole anche per “Robot Films”, del regista Pablo Berger, che ha fatto breccia nel corso dell’evento aggiudicandosi il premio per il miglior film d’animazione.

Giovanni Scanu

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