Amedeo Amodio è una delle menti più eccelse della coreografia italiana.

Una carriera sterminata iniziata dal Teatro Alla Scala di Milano dove debutta come ballerino nel 1956.

Ha lavorato e vissuto in un’epoca d’oro per la danza e per lo spettacolo dal vivo, quel secondo dopoguerra che vede l’Italia primeggiare nel mondo.

Stare a contatto fin da giovanissimo con grandi maestri come Luchino Visconti, voci immortali come Maria Callas, direttori d’orchestra come Karajan ha rappresentato per lui una scuola di vita e di pensiero straordinaria.

Questi e tanti altri personaggi sublimi sono stati alcuni dei suoi compagni di viaggio.

A lui si deve quel grande progetto che è Aterballetto e dopo quell’esperienza Amodio dirige tutti i corpi di ballo degli Enti Lirici di allora, diventati oggi Fondazioni: La Scala di Milano, l’Opera di Roma e il Teatro Massimo di Palermo.

Lo abbiamo incontrato durante le recite de Lo Schiaccianoci, inserito nella stagione lirica e di balletto della Fondazione Teatro Lirico di Cagliari grazie alla sinergia tra il Sovrintendente Claudio Orazi e il produttore Daniele Cipriani, lo stesso dello strabiliante Galà di Etoile che ha aperto la stagione 2018 con uno spettacolo indimenticabile.

Il cast (foto Daniele Cipriani enterteinement)
Il cast (foto Daniele Cipriani enterteinement)
Il cast (foto Daniele Cipriani enterteinement)

Per divulgare la danza in Italia quali azioni suggerirebbe al ministro competente?

"Ogni teatro lirico dovrebbe avere una scuola di danza con degli insegnanti veramente qualificati. Credo che l’elemento imprescindibile sia che i docenti abbiano avuto un’esperienza teatrale che possano tramandare, unitamente alla tecnica che rende possibile l’azione del danzatore. I ginnasti sono stupendi, possiedono delle capacità fisiche straordinarie ma non hanno la preoccupazione dell’interpretazione. Per la danza, invece, c’è il virtuosismo atletico ed un’ispirazione emotiva che parte dall’anima e che va donata al pubblico. In caso contrario la performance diventerebbe sterile e non avrebbe la capacità di comunicare nulla allo spettatore. Le scuole dovrebbero essere inserite anche nei teatri di tradizione non solo nelle Fondazioni liriche. In più per la divulgazione esistono le scuole private. Però mentre una Fondazione lirica può gestire la scuola con maggiore rigore, visto che è sostenuta dall’intervento pubblico, il privato deve ammettere nelle accademie anche l’elemento non perfettamente idoneo o di talento spiccato perché bisogna coprire le ingenti spese necessarie per mantenere in vita una scuola privata di qualità. Per questo alla Scala e negli altri teatri ci sono selezioni molto rigide, per garantire un livello eccellente dei corpi di ballo stabili. In Italia abbiamo dei talenti incredibili, all’estero vengono apprezzati e invece in Italia no".

Un esempio?

"Alessandra Ferri, giovanissimo talento entrò in contatto al Royal Ballet con il coreografo Kenneth MacMillan che non appena la vide danzare in un provino, ed era agli inizi ma già si intravvedeva un talento fuori dal comune, la volle subito inserire assegnandole un primo ruolo. Nel nostro Paese, appena un qualunque straniero si affaccia nel panorama artistico, viene subito valorizzato mentre per i talenti nostrani è difficilissimo emergere. I giovani italiani dalle grandi qualità ci sono, valorizziamoli. Questo succede nella danza ma anche in altri campi".

Aterballetto è una sua creatura, ha avuto difficoltà nel realizzare questo grande progetto?

"Ho fondato Aterballetto nel 1979. Quando andavo a Spoleto per realizzare le mie creazioni vedevo le grandi compagnie americane e sognavo di realizzare un progetto simile in Italia. In quel periodo ero con Severino Gazzelloni e Tullio De Piscopo per lavorare al 'Flauto Danzante' commissionato dal Festival di Nervi e nell’ambito di un convegno sulla danza incontrai Mario Cadalora, allora presidente dell’Ater, e Roberto Giovanardi. Esposi la mia idea che piacque moltissimo. Allora girai mezza Europa e andai a New York. Contattai Roland Petit a Parigi, George Balanchine, Josè Limon e tanti altri. Abbiamo iniziato con un repertorio straordinario. Collaboravamo con Kenneth MacMillan, Anthony Tutor, Leonide Massine, Davide Parsons, Maurice Bejart, William Forsythe, Alvine Ailey, Glen Tetley, Jiri Kylian e realizzavo anche io delle creazioni. Eravamo una delle compagnie più importanti a livello europeo con all’attivo 150/180 spettacoli all’anno".

Sul palco (foto Priamo Tolu)
Sul palco (foto Priamo Tolu)
Sul palco (foto Priamo Tolu)

Tra le personalità con cui ha collaborato c’è Mario Ceroli che in Sardegna ha creato opere straordinarie per Portorotondo, il borgo gallurese fondato da Luigi Donà Dalle Rose. Come vi siete incontrati e in che occasioni avete lavorato insieme?

"Mario Ceroli lo conosco da parecchio tempo fin dai tempi della Galleria Il Naviglio dove faceva le sue prime esposizioni. Al festival di Spoleto vidi le sue scene per l’Orlando Furioso di Luca Ronconi, un bellissimo spettacolo con il grande regista agli inizi della carriera. In quei tempi avevo tra i miei progetti un Romeo e Giulietta su musiche di Berlioz, un allestimento davvero speciale con i costumi meravigliosi di Luisa Spinatelli, le voci dei personaggi e degli oggetti riprodotte magistralmente dall’attrice Gabriella Bartolomei e i duelli di spade curati dal bravissimo maestro d’armi Renzo Musumeci. Dopo aver elaborato la mia stesura drammaturgica pensai che Mario Ceroli sarebbe stato perfetto. Andai da lui per diverso tempo e parlammo tantissimo. Io volevo la città ideale del Rinascimento, una costruzione che il pubblico potesse vedere come una piazza enorme e che poteva diventare all’occorrenza una piccola stanza o un piccolo corridoio".

E lui?

"Capì alla perfezione la mia visione e realizzò delle case meravigliose che potevano respirare con la possibilità di essere spostate con facilità sulla scena. Ricordo bene anche un meraviglioso pavimento a scacchi che dava all’allestimento una suggestione fortissima, era davvero un lavoro memorabile, non lo potrò mai dimenticare. Ho visto anche alla Scala alcune sue grandi scenografie e li si vedeva il tocco dell’artista. Quando apri il sipario e la scena ti sprigiona un’emozione intensa vuol dire che il messaggio è arrivato direttamente al cuore".

Un momento dello spettacolo (foto Priamo Tolu)
Un momento dello spettacolo (foto Priamo Tolu)
Un momento dello spettacolo (foto Priamo Tolu)

Sua figlia ha seguito le orme del padre. Suggerirebbe oggi ad un giovane di intraprendere questa carriera?

"Certo che lo suggerirei. Mia figlia ha studiato alla Scala ed è stata all’Aterballetto oltre che in diverse compagnie, tra l’Italia e l’Europa, lavorando nelle più importanti capitali da Berlino a Parigi. I giovani, per intraprendere una carriera da insegnanti, devono trascorrere un periodo di palcoscenico perché quell’esperienza ti da una maturazione assoluta. Quando vai in sala prove il coreografo ti monta il lavoro e tu in quel momento ti arricchisci, apprendi le basi e lo sviluppo dello stile attraverso un confronto con tutti i protagonisti della produzione. Bisogna conoscere il repertorio e i differenti stili, soprattutto il Maitre: lui è l’elemento chiave che deve illustrare la varie possibilità interpretative a seconda del titolo. Il Lago dei Cigni ha uno stile mentre la Sagra della Primavera sarà certamente differente e di questo bisogna avere piena coscienza".

Perché il suo Schiaccianoci, realizzato grazie alla produzione di un creativo illuminato come Daniele Cipriani, ha così tanto successo?

"Questo Schiaccianoci è nato per Aterballetto e le scenografie, una volta lasciata la direzione, sono rimaste lì. Con grande lungimiranza Daniele Cipriani le ha acquistato ed è nato questo allestimento che riscuote sempre un grande successo. Leggendo con attenzione Hoffmann ho elaborato una mia drammaturgia, non quella solita con l’albero di Natale che molti conoscono per le varie produzioni classiche. Sono tanti i punti di forza del balletto".

Quali?

"La coreografia, originale e fantasiosa, si dipana attraverso quadri rapidi e improvvisi. La caratterizzazione dei personaggi avviene attraverso una cromia di linguaggi che dal classico più puro arriva alla scomposizione della break dance in un mescolamento di stili di folgorante bellezza. Le scenografie e i costumi firmati da Emanuele Luzzati sono favolosi, magici e stupefacenti e su questi elementi portanti si incastonano i suggestivi giochi di ombre. L’originalità dell’allestimento si coglie già dalle prime battute musicali. Non la classica ouverture di Ciaikovsky eseguita dall’orchestra a sipario chiuso ma un originale intervento recitato con Drosselmeier sul proscenio che ci introduce nella fiaba. È lui il vero motore della favola, il demiurgo artefice delle magie che si susseguono nel balletto, colui che dà forma alle fantasie oniriche di Clara".

Molte sono le citazioni e gli omaggi inseriti in questo allestimento.

"Nella danza araba del secondo atto mi sono ispirato alla suggestiva Sherazade danzata da Nijinsky, mentre desta sempre grande stupore e incanto la danza cinese con la tazzina che balla con la teiera. Tra le bambole preferite di Clara ho sostituito i Mirlitoni con un Papageno e due Pappagene, un omaggio mozartiano molto apprezzato. Invece nel gran Pas de deux del secondo atto ho voluto lasciare la coreografia originale di Petipa, un ricordo del grande coreografo che lavorò al fianco di Tchaykowsky per creare questo straordinario capolavoro. Ma è meglio non aggiungere altro. Andate a vederlo dal vivo, solo così potrà restare impressa nella memoria l’emozione di uno spettacolo che coniuga la bellezza delle musiche ad una storia magica sospesa nel tempo".

L.P.
© Riproduzione riservata