Al 31 maggio 2025 in Sardegna le richieste di connessione a Terna erano 709 per 51,46 gigawatt tra eolico, fotovoltaico e agrivoltaico: cosa rischiano i terreni e l’agricoltura?

Pietro Tandeddu (già dirigente Cia, Lega delle cooperative, associazione generale cooperative italiane, Copagri ed ex capo di gabinetto dell’assessorato regionale all’Agricoltura): «Il rischio è un ulteriore consumo del suolo con la conseguente impermeabilizzazione, che non ci possiamo permettere. Dobbiamo ribadire con forza il concetto che le terre sono destinate alla produzione di beni alimentari per sfamare un mondo in continua crescita: la guerra in Ucraina l’ha ribadito drammaticamente. Di fronte ad azioni meramente speculative congegnate da persone che in Sardegna nessuno ha mai visto in faccia, sbarcate qui solo per fare soldi lasciando macerie, bisognerebbe istituire l’obbligo concreto e verificabile di una fideiussione per ripristinare i luoghi dopo la fine del ciclo produttivo degli impianti. Il mondo dell’agricoltura non è contro le rinnovabili, ma contesta il modo in cui vengono imposte. Agli agricoltori potrebbe essere data la libertà di spingersi oltre la produzione per l’autoconsumo – e quindi un’integrazione di reddito – senza trasformarli in imprenditori industriali. Poi, è chiaro, ci sono sistemi che non danneggiano i terreni e le attività. L’agrisolare, per esempio: cosa ci vuole a favorire in modo massiccio la sistemazione di pannelli sui tetti dei capannoni agricoli, industriali, commerciali, artigianali, nei fabbricati pubblici? Iniziamo da lì, sarebbe un successo. Sull’agrivoltaico nei campi invece non c’è stata alcuna sperimentazione: sarebbe bastato farla con i nostri enti di ricerca tipo l’Agris per verificare cosa accade alle terre coperte dai pannelli. Ancora: l’obiettivo di produrre 6,2 gigawatt da fonti alternative fissato dal Governo per la Sardegna è eccessivo rispetto a quello assegnato a regioni ben più ricche, con superfici territoriali ampie come le nostre. Produciamo già almeno il 30 per cento in più rispetto a ciò che consumiamo. Certo, dobbiamo trovare una soluzione alle centrali a carbone, probabilmente il gas è quella transitoria migliore. C’è un elemento fondamentale: il paesaggio sfregiato da pale alte centinaia di metri, a mare e sulla terra. Il paesaggio conferisce un plus economico anche ai prodotti agroalimentari, il mercato è spietato e la specificità di un prodotto che nasce in un determinato ambiente ha di per sé un valore aggiuntivo. Siamo una regione debole che non può competere con i grandi sistemi agricoli, quindi il paesaggio va tutelato, come dice la nostra Costituzione».

Salvatore Palitta (presidente della coop La Concordia e del Consorzio Agriexport, ex presidente del Consorzio di tutela del pecorino romano dop): «È ovvio che le operazioni speculative danneggiano l’agricoltura in tutte le sue articolazioni. Come impedirlo? Dando la possibilità di incrementare la produzione di energie alternative esclusivamente a agricoltori e allevatori per consentire loro ciò che oggi è vietato: andare oltre il limite del fabbisogno aziendale. Una crescita produttiva per accompagnare le aziende nel futuro che si annuncia per nulla facile. La Commissione europea progetta di spostare i finanziamenti per il settore in un calderone con un taglio di almeno il venti per cento entro il 2027. Su queste basi, se c’è la possibilità di guadagnare qualche soldo extra a margine dell’attività agricola bisogna offrirla a chi lavora nei campi e nelle stalle tagliando fuori le aziende che arrivano nell’Isola con un capitale sociale di 10mila euro, teste d’ariete per ottenere le autorizzazioni e poi passare la palla al vero investitore che fa la più classica delle operazioni speculative».

Marcello Mancosu (agricoltore): «Il problema per gli agricoltori sono gli espropri, previsti dalla legge. Se lasciassero gli agricoltori liberi di produrre una certa quota di energia dalle rinnovabili oltre il fabbisogno potrebbero integrare il reddito e rendere le aziende più produttive».

Giovanni Barrocu (geologo, già ordinario di geologia applicata e consulente scientifico dell’Unesco): «Nel momento in cui il suolo è occupato da pale o pannelli non è più produttivo. Non solo: la costruzione delle turbine richiede un grande movimento di terra con enormi iniezioni di calcestruzzo che cambiano per sempre la composizione del sedimento. A questo bisogna aggiungere il consumo violento del suolo per l’apertura di strade di accesso a torri alte centinaia di metri. C’è un altro aspetto che si riverbera sul futuro: cosa accadrà dopo i 25-30 anni di vita degli impianti, noi non abbiamo il deserto del Nevada dove andare a seppellirli. L’esempio illuminante è quello di Furtei: la Regione aveva previsto la fideiussione per bonificare il territorio dopo la sciagurata corsa all’oro, ma quei fogli si sono rivelati carta straccia, l’ambiente è ancora fortemente compromesso. È una prospettiva che fa rabbrividire, sembra quasi che la Sardegna non abbia il diritto a essere preservata. Non significa bocciare le energie alternative, che possono essere un solido supporto per le aziende. L’Italia ha speso miliardi per due progetti – ai quali ho partecipato – che miravano a tutelare il suolo, ci si è battuti contro il consumo indiscriminato, invece gli enti che sono stati creati successivamente hanno ignorato i rischi, probabilmente anche per colpa dell’università che non è riuscita più a preparare i tecnici in modo adeguato».

Anastasio Sanna (allevatore): «Mi stanno buttando per strada. L’unico campo che avevamo disponibile per il bestiame, a Mogorella, lo vogliono espropriare per far spazio alle pale eoliche. È una zona svantaggiata, con pochi spazi coltivabili. Abbiamo fatto tanti sacrifici per comprare quel terreno, sono arrivati in silenzio, senza chiedere “posso entrare a casa tua?”. Ho provato a saperne di più e non mi hanno mai detto la verità. Allevo capre, un mestiere povero, col rumore delle pale gli animali si spaventano e diminuiscono la produzione. Mettetevi nei miei panni, ditemi cosa devo fare».

Il sindaco di Guspini durante un forum all’Unione Sarda ha detto che l’agrivoltaico nel Medio Campidano è spesso una speculazione «che può danneggiare le colture, la Sardegna è il banco di prova». Come ci si può difendere?

Tandeddu: «Dobbiamo impedire queste forme di colonizzazione energetica. Nel frattempo deve essere eliminato quest’obbrobrio giuridico che consente a società con scopo di lucro di espropriare i terreni: non stiamo parlando di interesse pubblico, di scuole o strade, ma di affari privatissimi. La norma esiste dal 2001 e non ho visto un solo parlamentare condurre una battaglia per eliminarla. Nel frattempo, penso che la legge sarda sulle Aree idonee possa essere integrata con alcune parti della proposta di legge Pratobello, firmata da centinaia di migliaia di persone, sfruttando la competenza primaria della Regione in materia urbanistica».

Palitta: «Nel Sassarese quando casi poco trasparenti di agrivoltaico sono emersi in maniera eclatante c’è stato un accertamento dell’autorità giudiziaria. A mio avviso però dobbiamo focalizzare l’attenzione su vantaggi e svantaggi che la produzione di energie alternative può arrecare alle nostre imprese, naturalmente preservando il territorio e l’ambiente. Siamo pochi, un milione e mezzo in tutto, spesso nelle nostre aziende non c’è ricambio generazionale perché i giovani non vogliono buttarsi in un’attività dura e difficile che tiene legati ventiquattr’ore al giorno. Siamo vulnerabili, il futuro dell’agricoltura è messo in dubbio, diventiamo terra di conquista: perché non concedere un’integrazione di reddito con una moderata produzione di energia rinnovabile da affiancare all’attività tradizionale?».

Mancosu: «L’agrivoltaico a un metro e mezzo da terra non ha valore per la produzione agricola, è solo speculazione. In Trentino invece i meleti sono protetti da pannelli molto più alti, ruotano seguendo il sole, sotto passano le mietitrebbia, credo che possano offrire qualche vantaggio».

Barrocu: «Non stanno facendo gli studi di impatto ambientale adeguati. Non è un caso - e lo dico a malincuore - che tutti gli ordini professionali interessati restino in silenzio. L’assalto in corso è l’oggetto di un esposto presentato a tutte le Procure della Repubblica sarde».

Sanna: «Cosa posso fare per difendermi? Niente. Non mi hanno neppure detto che c’era un progetto che toccava il mio terreno. Hanno fatto un incontro in paese su questo argomento, ma non sono potuto andare perché per gli animali era il periodo del parto. Ho saputo la verità per voce di popolo».

Maria Giovanna Bosco è la ricercatrice universitaria che ha fatto il primo studio indipendente sul caso Sardegna: sostiene che le rinnovabili siano una bolla speculativa che arricchisce pochi, devasta l’ambiente, non fa calare il prezzo dell’energia e danneggia il turismo e l’agricoltura.

Tandeddu: «Torniamo a bomba: risolveremmo i nostri problemi piazzando pannelli sui tetti delle aziende e dei palazzi. Le pale eoliche invece compromettono l’economia, il paesaggio e lo sviluppo dell’agricoltura».

Palitta: «Gli impianti enormi – penso alle pale alte come montagne – sono puramente speculativi. Mi auguro che questa fase termini il prima possibile e si ragioni sull’economia delle imprese sarde e sull’impatto che avrebbe la possibilità di far produrre loro un po’ più d’energia da usare nell’isola, senza esportarla».

Mancosu: «Bisogna lasciare gli agricoltori liberi di produrre anche energia, magari nel 10 per cento del terreno, sbarrando la strada a chi fa speculazione. Altrimenti il futuro delle campagne è segnato. Nel frattempo tra Guspini e Macchiareddu è cresciuta una foresta di pale eoliche: che razza di Sardegna stanno costruendo?».

Barrocu: «I problemi non finiscono con i pannelli e le pale eoliche: ci sono le batterie, che non possono essere riciclate. È un problema enorme che stiamo lasciando in eredità alle future generazioni».

Sanna: «Attorno al nostro terreno ci sono decine di nuraghi, tutti censiti, ma la distanza minima dalle pale non è un elemento che può fermare queste società. Per noi è finita, the end. Ci hanno consigliato di cercare un avvocato, ma sino a quando non arriva la lettera dell’esproprio il legale non può fare niente».

Enrico Fresu

Paolo Paolini

Lorenzo Piras

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