#AccaddeOggi: 4 giugno 1994, trent’anni senza Massimo Troisi
L’attore napoletano moriva appena 12 ore dopo la fine delle riprese del suo film più ambizioso e impegnativo, “Il Postino”Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Appena 12 ore dopo la fine delle riprese del suo film più ambizioso e impegnativo, "Il Postino", il 4 giugno del 1994 Massimo Troisi scivolava dal sonno alla morte nella casa di sua sorella Annamaria, a Ostia, dove aveva trovato rifugio dopo le fatiche di un set che non avrebbe dovuto affrontare.
Alla vigilia del "Postino", Troisi era tornato in America dal chirurgo che già una volta l'aveva operato in gran segreto al cuore agli inizi della carriera. Sapeva di non poter affrontare il doppio sforzo dell'ideazione e dell'interpretazione (nonostante avesse lasciato la regia a Michael Radford per arrivare alla fine delle riprese) ma scelse di non risparmiarsi per avere l'opportunità di Philippe Noiret nel ruolo del poeta Neruda.
Nato il 19 febbraio del 1953 a San Giorgio a Cremano (alle porte di Napoli ma nel cuore di una periferia disastrata, ancora campagna, non ancora città) e cresciuto in una casa piccola e sovraffollata (cinque fratelli, due genitori, due nonni e cinque nipoti), Troisi da sempre combatteva contro un destino difficile, acuito fin dalla giovinezza da dolorose febbre reumatiche che produssero lo scompenso cardiaco alla valvola mitralica che gli sarebbe stato fatale ad appena 41 anni.
Padre macchinista ferroviere e mamma casalinga, il "Pulcinella senza maschera" che il pubblico avrebbe amato fin dall'esordio con "Ricomincio da tre" (1981) si era formato sulle tavole del palcoscenico, istintivo erede di Eduardo e di una napoletanità irridente e dolente che avrebbe traghettato in un diverso sentire, quella della "nuova Napoli" di Pino Daniele e di Roberto De Simone. Col gruppo "I Saraceni" e poi con gli inossidabili amici de "La Smorfia" (Lello Arena ed Enzo Decaro) uscì presto dai confini vernacolari del successo paesano per portare il suo napoletano vivacissimo e torrenziale sulle reti televisive nazionali e poi al cinema. Com'era accaduto a Eduardo e a Totò, quella parlata divenne comprensibile a tutti oltre le parole, sinonimo di un sentire universale in cui la maschera diventava volto e il personaggio un paradigma universale.
Il successo fu inatteso, clamoroso, immediato. Ancora oggi resta il sentimento di un talento irripetibile e luminoso che senza Napoli non sarebbe esistito ma che a Napoli ha restituito la statura di una vera capitale mondiale.
(Unioneonline)