Da Villacidro a Londra per aprire il suo ristorante: “Il mio segreto? Dare ai clienti un motivo per tornare”
Francesco Messinas, in società con l’amico Leonardo, è titolare del Cafè Amisha, premiato da Open Table Uk“Devi dare alla gente un motivo per tornare”. Un motto che Francesco Messinas, classe 1979 da Villacidro, ripete continuamente allo staff del locale che, insieme all’amico Leonardo, ha aperto a Londra: il Cafè Amisha, premiato da Open Table Uk come miglior ristorante italiano nella capitale britannica.
Lasciata la Sardegna quando era giovanissimo, “c’era ancora la lira”, ha viaggiato in Europa per migliorare ogni volta il suo livello professionale. Prima tappa, subito dopo il diploma, la Germania, “e non parlavo una parola di tedesco, me la cavavo in inglese, il ristorante era di un sardo, quindi usavo un po’ l’italiano e man mano imparavo altre lingue”. Il suo sogno era proprio questo: “Stare a contatto col pubblico, accogliere i clienti, farli sentire a proprio agio”.
Tornato in Italia giusto il tempo per ottenere la patente, è ripartito con destinazione villaggi turistici e hotel, professione: barman, ma non solo. Negli anni le qualifiche sono cresciute: “Facevo i corsi dopo l’orario di lavoro negli alberghi, anche se cominciavo al mattino presto, ma volevo raggiungere certi traguardi e per farlo devi impegnarti, devi dare tutto”.
Tra i clienti che ha servito nella sua carriera – nelle strutture di Ventaclub, Hilton, Jolly - ci sono tanti vip: le Spice Girls, Mike Tyson, Mick Jagger, Gwen Stefani. Mance? “Nessuna. Loro non pagavano, c’era chi se ne occupava, i più generosi erano i russi”.
Londra, in realtà, doveva essere solo una tappa per migliorare l’inglese, un mese per studiare. Sono passati anni ma Francesco Messinas non è più ripartito. Anzi, ha conosciuto Paola Loriga, di Osilo, e l’ha sposata: “Lavorava con me al ristorante, poi è arrivato il colpo di fulmine”.
Da cosa deriva il nome del locale, “Cafè Amisha”?
“Io e il mio socio, Leonardo Mastrofilippo, che è di Bari e ha 47 anni, abbiamo creato una società che si chiama ‘Franco e Ciccio’. Dovevamo scegliere un nome, ma tutti quelli italiani che ci venivano in mente non erano disponibili. Alla fine ‘Franco e Ciccio’ era l’unico possibile e così è stato. Poi Amisha perché si trova nell’Amisha Court, un palazzo con decine di appartamenti, quindi tutti ci conoscono come Cafè Amisha, e abbiamo anche un piccolo negozio, che abbiamo avviato prima del Covid, proprio accanto”.
Quante persone lavorano con voi?
“Oltre a me e Leonardo ci sono altre 12 persone. Lui è in cucina, una zona a vista così i clienti possono vedere tutto, io faccio il manager, il maître, mi occupo dell’accoglienza, gestione sala, ricevimento clienti, giro per i tavoli, parlo con tutti, faccio sentire l’italianità”.
Quali sono state le principali difficoltà nell’aprire un vostro locale?
“Dico sempre: se non ami il lavoro che fai non farlo, soprattutto se è a contatto con la gente, se non la convinci lascia stare, devi creare un motivo per far tornare le persone, dare loro un eccellente servizio, ottimo cibo, devono restare a bocca aperta, e avvertire un piacevole ambiente familiare. Questo è uno dei miei elementi di punta, che volevo raggiungere fin dall’inizio e che voglio mantenere sempre”.
Ci sono piatti particolarmente richiesti?
“La pasta, la pizza che cuociamo con forno elettrico ma che è eccellente, infatti abbiamo ospitato la competizione ‘Pizza italiana a Londra’ nel 2019, e ancora carne, pesce, con alternative vegane e vegetariane. Oltre al menu, ogni giorno ci sono specialità che segnaliamo su una lavagna gigante”.
Qualcosa di sardo?
“La fregola, o fregula, spesso è uno dei piatti speciali”.
Cosa vogliono mangiare i londinesi e i turisti?
“Va tantissimo il pollo alla valdostana: petto di pollo impanato, passato in forno, a metà cottura aggiungiamo il taleggio, il prosciutto cotto e una salsa di funghi che prepariamo noi. O la linguina allo scoglio, la carbonara, la bolognese, con tagliatelle fatte in casa”.
I ristoranti italiani in genere hanno più successo?
“Sì, a Londra ci sono circa 20mila ristoranti, e 3.500 sono italiani. Ma non è facile raggiungere certi livelli. Noi siamo stati premiati da Open Table grazie alle recensioni dei clienti, la classifica è ovviamente periodica e cambia, però per il ‘Cafè Amisha’ è stato uno dei grandi risultati”.
Come battere la concorrenza?
“Non far mancare niente al cliente, coccolarlo, se il cibo è buono e fresco la gente torna. Un signore un giorno è venuto da noi: ‘Sono atterrato a Heathrow – mi ha spiegato – e ho visto su Instagram la vostra pasta all’aragosta e mi sono detto che dovevo assolutamente assaggiarla’. Sono cose che danno una grande soddisfazione”.
Che rapporto ha con la Sardegna oggi?
“Torno ogni tanto, ma sono consapevole che è una terra che non offre opportunità, il lavoro c’è, però se vuoi fare altro non hai molte possibilità e devi andare via, ci sono tanti Paesi in cui crearsi una carriera e un futuro. In fondo sono felice di essere partito, viaggiare era il mio sogno, un domani potrei tornare, magari per qualche mese l’anno”.
Cosa pensa della polemica nata dalla frase di Alessandro Borghese sui giovani che non hanno voglia di impegnarsi nel lavoro?
“Sono assolutamente d’accordo. Infatti io ho problemi nel trovare personale con un certo profilo. Lo staff, ai miei tempi e me compreso, aveva persino timore a fare richieste magari per un giorno di riposo in più, oggi sono i dipendenti ad avere, in parole povere, il coltello dalla parte del manico. Se prima della Brexit ricevevo centinaia di richieste con allegato curriculum, quest’anno forse me ne è arrivato uno. Vero che è in passato i ristoratori ne hanno approfittato: non pagavano gli stipendi e i lavoratori venivano trattati alla stregua di ‘schiavi’. Adesso è tutto diverso, intanto io non trovo un lavapiatti”.
Cosa fa nel tempo libero a Londra?
“Quel poco che ho lo dedico al volontariato in carcere. Una volta alla settimana seguo un gruppo di 10 detenuti che sono in prossimità di uscire dall’istituto e insegno loro a cucinare e a servire in sala. Un modo per introdurli nel mondo lavorativo grazie a una organizzazione no profit”.
C’è una frase che si ripete spesso?
“Devi sempre condividere la tua fortuna e la tua felicità”.