Lasciare la Sardegna «è un atto di coraggio» ma nella Silicon Valley, dall’altra parte del mondo, «ho portato tanto del mio Dna nuorese». Francesco Fogu, 35 anni, vive e lavora a San Francisco dove è direttore del Product Design per Meta, la multinazionale americana che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger. Ma il suo nome è legato anche a MarketPlace, la sezione vendo-compro di Facebook: è stato lui a disegnare e a fondare la famosa vetrina virtuale nota in tutto il mondo.

Dopo gli studi all’Università di Sassari, facoltà di Architettura, a 18 anni ha iniziato a viaggiare. Tappe in Austria per l’Erasmus, con approfondimento sull’Interaction Design, e poi l’Islanda. «Oggi sono il risultato di una formazione dovuta a varie culture e questo aspetto viene riflesso nel team che ho costruito all’interno di Instagram dove si confrontano persone provenienti da vari angoli del pianeta ed è una grande ricchezza, ti permette di vedere la realtà da diversi punti di vista».

Sardegna-San Francisco solo andata?

«Sì, ma senza dimenticare chi sono e da dove arrivo. Nuoro mi ha dato tanto, ha formato quel Dna che porto con me ogni giorno sia nel lavoro sia a livello personale. Ci sono alcuni aspetti della Sardegna che sono stati fondamentali per capire le mie passioni e applicarle nella professione».

Quali ad esempio?

«La mia terra è un luogo un po’ remoto dove il tempo passa lentamente, ma c’è un interesse molto vivo per la lingua, il territorio, la cultura. Ho acquistato lì la resilienza, nel senso di forza e attaccamento ma anche flessibilità e adattabilità. Ho capito come lavorare nelle aziende, con la capacità di resistere alle sollecitazioni esterne mantenendo la tua identità originaria. E col tempo la tua idea si fortifica».

Cosa fa il Product Designer di Meta?

«In realtà nel campo della tecnologia sono capitato un po’ per caso. Ho sempre avuto interesse per le scienze umane e col tempo ho capito, dopo gli studi, dove potevo direzionare questa passione. È un lavoro abbastanza nuovo per l’Italia. Il Product Designer è un responsabile nella creazione di nuove funzionalità o servizi. La mente di nuove idee per far sì che l’azienda si evolva e resti rilevante».

Quali capacità sono necessarie?

«Si devono saper leggere le esigenze di mercato, capire cosa manchi su Facebook o Instagram e creare qualcosa di nuovo per soddisfare i bisogni degli utenti. È un lavoro tecnico e artistico, mi piace pensare al mio team come a una fucina: intuire i trend e ideare proposte per nuove funzionalità è il fulcro».

L'Head Quarter di Meta (foto concessa)
L'Head Quarter di Meta (foto concessa)

L'Head Quarter di Meta (foto concessa)

Qual è l’aspetto più difficile?

«Saper creare servizi che possono essere usati da tutti, con ogni lingua e per ogni livello di istruzione. Sono prodotti che devono essere a disposizione di 2 miliardi di persone, perché questo è il numero di utenti che ogni giorno si interfacciano con i miei prodotti».

Come si arriva a un lavoro di questo livello?

«Con l’esperienza e unendo creatività e tecnica. È quello che suggerisco agli aspiranti designer. Consiglio sempre tirocini in vari Paesi che abbiano culture diverse, con full immersion nelle aziende per capire come vengono costruiti i prodotti. Io ho cominciato così, nelle piccole realtà, poi la multinazionale Paypal e infine sono arrivato a Meta. Si tratta di capacità che crei man mano nel tempo».

Oggi si parla sempre più dei pericoli dei social network.

«Hanno aperto una finestra sul mondo. Chiunque con uno smartphone, uno smartwatch, un computer può andare a scoprire quello che succede ovunque. Ma gli aspetti negativi sono uno dei focus di cui si occupano i team che hanno come missione quella di creare un ambiente positivo e sicuro per la nostra piattaforma. Il ruolo di questa squadra, che si identifica come Well-Being, è quello di dare strumenti affinché gli utenti stiano lontani da situazioni spiacevoli e si sentano a loro agio. Ovviamente per esprimersi in maniera civile».

Tutto questo spesso non accade.

«Ed è proprio qui che entra in gioco il nostro ruolo, far sì che chi usa i social abbia le armi giuste senza nel contempo imporre una voce che possa deviare le idee».

L'Head Quarter di Instagram (foto concessa)
L'Head Quarter di Instagram (foto concessa)

L'Head Quarter di Instagram (foto concessa)

Assistiamo in queste ultime settimane a sempre più frequenti fenomeni di attacchi via social, Chiara Ferragni un caso su tutti. Esiste qualche filtro?

«Da anni il mio team utilizza l’intelligenza artificiale per rilevare bullismo e altri contenuti dannosi, e il mio ruolo è - oltre a quello di creare strumenti di rilevazione – anche quello di progettare e lanciare nuove funzionalità per rendere la community capace di proteggersi. Chiara Ferragni è un’influencer che ha necessità molto diverse, quindi dobbiamo ideare strumenti per creators con milioni di followers che devono poter controllare milioni di informazioni. E allo stesso tempo offrire strumenti simili per gli altri, per difendersi da situazioni indesiderate ma a livelli diversi».

Come funziona nella pratica?

«Usiamo filtri e un approccio a due canali: l’intelligenza artificiale, che fa gli screening dei contenuti nella piattaforma, e i controlli a disposizione degli utenti».

Chi è più a rischio?

«Non esiste un vero e proprio target, piuttosto persone più vulnerabili di altre, come i giovani. Parlo di ragazze e ragazzi di 14-16 anni che hanno creato un account per la prima volta, si stanno mostrando al mondo e non sono attrezzati di strumenti dal punto di vista della protezione rispetto a quanto può esserlo un adulto. Abbiamo un team specifico che progetta soluzioni proprio per i più giovani».

Come, invece, i social possono essere usati bene?

«Faccio spesso un esempio che mi riguarda direttamente. Per anni ho cercato di spiegare a mia nonna in cosa consistesse il mio lavoro. Poi le ho regalato un iPad e da allora le si è aperto un mondo. Mia nonna vive a Nuoro, ha 92 anni, e oggi si tiene aggiornata su tutto: mi segue sui social, mette il “mi piace” alle mie foto, e ogni sabato mi chiama via Messenger. Senza i social tutto questo non sarebbe stato possibile».

Ha lasciato la Sardegna con un sogno in valigia, lo rifarebbe?

«Assolutamente sì. Sono nato e ho vissuto a Nuoro, ho sempre avuto grande apprezzamento per questa città con valori tanto forti e dove la cultura è radicata in tutti. Mi ha dato il sogno di poter utilizzare arte e conoscenza in un contesto lavorativo a livello mondiale. Rifarei tutto ma per niente al mondo perderei il mio Dna, il rispetto e il coraggio di conservare le tradizioni. Nuoro è stata un punto di ispirazione a livello artistico».

Francesco Fogu (foto concessa)
Francesco Fogu (foto concessa)

Francesco Fogu (foto concessa)

Niente a che vedere con gli Usa?

«Gli americani non godono di tutti questi privilegi che ogni giorno porto con me. Per questo mi sento un po’ speciale, sono un cittadino del mondo con radici nuoresi, con forti valori sardi, e dall’altro lato applico queste caratteristiche alla tecnologia».

Emigrare è ancora un verbo che porta con sé una nota di profonda nostalgia?

«Sono la persona di oggi perché ho avuto il coraggio di lasciare la Sardegna, l’emigrazione ha sempre una connotazione un po’ negativa però sono sforzi che fai e che poi ti daranno gli strumenti per saperti adattare a situazioni nuove. Se fossi rimasto non avrei mai avuto certe opportunità, ma non lo dico con un senso di critica».

Come vede la Sardegna dalla Silicon Valley?

«Vedo un futuro di speranza, è una terra che può dare tanto, è unica. Ha un clima perfetto, tradizioni invidiabili e da rispettare, lo spazio, la cultura. Bisogna solo capire come sfruttare tutto questo, ed è un’Isola che deve imparare ad evolversi in molti campi».

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