Una retribuzione «irrisoria» in Italia e la decisione di andare in Germania. Paolo Atzori, originario di Mogoro, vive a Stoccarda dal 1970: «Avevo appena compiuto 18 anni e, superate le visite a Verona di quella che chiamavano “la commissione tedesca”, ho firmato il contratto e sono partito».

Lo scorso fine settimana, ad Amburgo, è stato eletto nuovo presidente della Federazione dei circoli sardi in Germania. Da decenni ormai è impegnato nel mondo delle associazioni, «non ho mai voluto incarichi o titoli, però mi sono sempre messo a disposizione e in questi anni ne abbiamo viste davvero tante di situazioni difficili».

Socio del circolo “Su Nuraghe” di Stoccarda, ha sempre lavorato, «non sono mai rimasto con le mani in mano. Mi adattavo a fare un po’ di tutto, pensi che facevo anche il dj a tempo perso, del resto ero e sono un appassionato di musica».

La destinazione Germania era attraente per gli stipendi o altro?

«Il paragone con l’Italia non reggeva. Immaginiamo un giovane sardo che è alla ricerca di un’occupazione, non bada certo al fatto che non conosca la lingua. I contratti erano allettanti all’epoca, così – dopo vari corsi tra Sardegna e Toscana – sono partito con un ragazzo di Armungia».

Com’è stato l’impatto?

«Il primo grande ostacolo: non parlavo una parola di tedesco. Alla scuola professionale che avevo frequentato ci avevano insegnato delle nozioni prettamente tecniche. Insomma sapevo usare le parole “del mestiere” ma non ero in grado di comunicare con nessuno. Poi anche qui le varie zone hanno un dialetto. Col tempo, soprattutto da autodidatta, ho imparato. Mi ha aiutato tanto avere contatti con giovani come me».

In che senso?
«Di fronte a un mio errore mi correggevano. Al lavoro no. Anzi: parlavano peggio di come potessi fare io. E poi con i miei coetanei andavamo al cinema, anche quello mi ha aiutato tanto. Leggevamo i giornali e io cercavo di tradurre».

Era contento dell’occupazione trovata?
«Dopo il primo anno, scaduto il contratto, ci hanno inserito nella produzione dell’azienda, una grande società. E non mi piaceva: “Non ho imparato questo mestiere per dare da mangiare a una macchina” era il mio pensiero. Quindi ho cambiato aria e ho deciso di frequentare i corsi dell’Enaip. Alla fine un diploma, il famoso pezzo di carta, scritto in tedesco valeva molto».

Poi altri lavori e altre esperienze.

«Sì, non mi sono mai fermato. Nell’ultima azienda sono rimasto 34 anni, fino alla pensione. Settore: utensili elettrici. Abbiamo creato un settore con macchine a controllo numerico, davo istruzioni ai colleghi, ero quello che si direbbe oggi “capo reparto”. E facevo anche parte della commissione interna fino a diventarne presidente. Il rapporto con i miei superiori è sempre stato molto buono».

Ha mai avvertito un senso di “discriminazione” in quanto italiano?

«Personalmente mai ma altre persone che conoscevo sì, eccome. Soprattutto quando cercavano una casa. Comunque sempre situazioni limitate, era una tipica reazione degli anziani che ci vedevano come “i nemici”. Io mi sono integrato subito, in generale si trattava di casi isolati».

Ha messo su famiglia a Stoccarda?

«Sì, con una tedesca originaria della Foresta Nera. Ci siamo conosciuti mentre lei faceva l’apprendistato e io il dj. Ci siamo sposati e nel 1976 è nato il nostro primo figlio, nel 1984 il secondo».

E oggi?
«Sono pensionato, mi dedico a qualche hobby ma larga parte del tempo è dedicata alle attività legate al circolo. C’è sempre qualcosa da fare».

Il direttivo della Federazione dei circoli sardi in Germania (foto concessa)
Il direttivo della Federazione dei circoli sardi in Germania (foto concessa)
Il direttivo della Federazione dei circoli sardi in Germania (foto concessa)

Qual è oggi la realtà delle associazioni sarde in Germania?

«I soci non sono più numerosi come un tempo, li vediamo solo quando vengono organizzate delle attività. Ogni circolo ha delle peculiarità. Per esempio quello di Berlino organizza vari concerti, altri si dedicano al folklore. In ogni caso, purtroppo, fra i soci più giovani nessuno vuole prendersi delle responsabilità come incarichi o simili, ma questa è una mentalità che nel mio ruolo di presidente di Federazione vedrò di modificare. Le sedi non sono aperte tutti i giorni, del resto noi facciamo del volontariato, nessuno viene retribuito».

Arrivano ancora emigrati dalla Sardegna?

«Certo, ma è difficile vederli da noi. Ci sono state anche situazioni molto delicate: più d’uno trovato sdraiato sulle panchine, senza soldi, senza casa. Li abbiamo aiutati noi e la Caritas. La Regione dice che questo sarebbe nostro compito, ma con quali risorse?».

Che occasioni offre la Germania?

«È alla ricerca di persone con competenze specializzate. Ma la base di tutto è la lingua. Se non parli il tedesco puoi salvarti almeno con l’inglese. C’è da dire che non tutti si accontentano: ricordo un laureato in lettere che faceva il pizzaiolo, è scappato. Qui si cercano in particolare ingegneri e anche manodopera qualificata. E questo perché con gli anni i tedeschi hanno trascurato l’importanza dell’apprendistato, oggi sono privi di lavoratori esperti in determinati settori».

Pariamo del Congresso: quali sono stati i temi principali?

«La comunicazione su tutto, e mi riferisco a quella con la Regione. Non ci sentiamo considerati in modo adeguato. Non per fare paragoni ma inevitabilmente vengono fuori: ci sono differenze nei finanziamenti rispetto all’Italia e, quando ci sono i concorsi per i progetti, per noi è difficilissimo partecipare. Non abbiamo tra le nostre fila dottori, professori, ingegneri».

La burocrazia?

«Altra brutta bestia. Se leggo un bando e i presupposti per partecipare, è talmente complicato che abbandono prima. Per noi è un linguaggio burocratico sempre più difficile: pec, firme digitali, cose che in Germania nemmeno conosciamo. Svolto tutto l’iter, il termine è scaduto. Faccio un altro esempio: il nostro bilancio – dice la Regione – deve essere fatto da un commercialista, in tedesco, e poi tradotto. Con costi che si possono immaginare. A fronte di un finanziamento che basta a malapena alla sopravvivenza».

Avete spiegato la situazione alla Regione? C’era qualche rappresentante?

«Non si è visto nessuno. E quest’assenza è stata per me una grande delusione. L’assessora al Lavoro aveva dichiarato di essere molto interessata ai circoli sardi all’estero, eppure per un’occasione tanto importante non abbiamo avuto il piacere di poterla incontrare. Insomma può anche darsi che ci fossero impegni programmati, però almeno una risposta al nostro invito me l’aspettavo».

Ora rimarrà presidente di Federazione per tre anni, quali saranno i punti fermi del suo mandato?
«Come dico sempre: non sono nato presidente. Quindi vorrei prima di tutto andare a visitare i circoli in Germania, voglio dialogare con chi li segue, capire di cosa hanno bisogno, fare squadra per lavorare tutti insieme».

Chi sono gli altri nuovi eletti?

«Il mio vice è il sassarese Gianni Masia, presidente di “Su Nuraghe” di Amburgo; cassiere è Antonio Galistu di Illorai; la segretaria, originaria di Silanus, Cristina Burger Piovera, la vice segretaria Tiziana Corda, che è la nuova presidente del circolo di Berlino. Entrambe sono anche rappresentanti delle donne; per i giovani invece Carolina Bacciu del circolo di Berlino e Jacopo Castelli del circolo di Francoforte».

Come vivete la situazione politica?

«Dopo le ultime elezioni sono alquanto preoccupato. I prezzi sono folli, ci sono difficoltà a trovare casa, tutti bravi a scrivere sui social “questo non va bene, e questo neanche”, ma quando c’è da fare nessuno si muove. Una volta ci si riuniva in piazza: lavoratori, sindacati, partiti. Oggi niente di niente, non c’è unità, siamo tutti contro tutti».

© Riproduzione riservata