Programma intenso quello della festa sarda a Biella con il circolo “Su Nuraghe”. La XXVII edizione ha unito da un lato “Sa Die de sa Sardigna” e dall’altro la condivisione della battaglia contro l’invasione di pale eoliche nell’Isola.

Nella prima giornata sul palco, con al centro la gigantografia di Fabrizio Bibi Pinna, raffigurante il “Nuraghe Goni” (Sardegna meridionale) che sfida lo sfregio delle pale eoliche alte anche oltre 200 metri, e la scritta “Barones, sa tirannia, procurade de moderare”, sono saliti i musicisti. Il trio “Tribeba” (Alessandro Zolt, Guido Antoniotti, Massimo Losito) ha tenuto il concerto “A sonu de trunfa/al suono della ribeba/al suono dello scacciapensieri”.

Agli arrangiamenti dei brani si è aggiunto il suono delle launeddas di Maurizio Caria, di Nadia Pala e di Pietro Paolo Piredda.

Il palco della festa (foto concessa)
Il palco della festa (foto concessa)

Il palco della festa (foto concessa)

In Piazza del Monte sono stati esposti scacciapensieri sardi e piemontesi, con i fratelli Pietro Paolo e Ignazio Piredda, fabbri artigiani, maestri musicisti provenienti da Dorgali e da Orosei. Con loro, Luca Boggio, di Crocemosso, giovane artigiano biellese, pellegrino tra gli strumenti, studioso di contrabbasso.

Il giorno successivo, la festa - salutata dalle salve dei “Fucilieri di Su Nuraghe” - è iniziata sul sagrato della basilica San Sebastiano - Tempio Civico della Città di Biella, intitolato ad Alberto Ferrero della Marmora, senatore del Regno di Sardegna, al quale è dedicata la cima più alta del Gennargentu.

Prima di proseguire all’interno, l’intrattenimento della Banda musicale “Filarmonica di Cossato” in preparazione della “Missa majore”, cantata in sardo dalle “Voci di Su Nuraghe” (dirette da Roberto Perinu, con l’accompagnamento musicale di Valentina Foddanu). Ad accogliere i partecipanti, frate Oscar Malykh, padre guardiano del convento di San Sebastiano, con il presidente del circolo “Su Nuraghe”, Battista Saiu, e il nuovo sindaco, Marzio Olivero in fascia tricolore, alla sua prima uscita pubblica.

Ingresso solenne in basilica, sulle note dell’“Hymnu Sardu Nationale”, popolarmente noto come “Cunservet Deus su Re”, inno sacro ancora in vigore, eseguito dalla Banda musicale di Cossato e cantato delle “Voci”, prima dell’inizio della Missa majore.

Presieduta da frate Oscar, in servizio a Biella, dipendente dalla Provincia di San Michele Arcangelo di Zhytomyr (Ucraina), la santa liturgia è iniziata con “su signale de sa santa Rughe”, il segno della Croce in Limba sarda. A decorare la Messa, sardi i canti e i vasi sacri: il prezioso “calice della Sardegna”, con patena sormontata dallo stemma dei Quattro Mori, sbozzo di quello impiegato nelle maggiori solennità a Cagliari nella basilica di Nostra Signora di Bonaria, massima patrona dell’Isola. Il prototipo biellese decorato a corbula, in filigrana d’argento, è rivestito in oro di Furtei. Custodito ed esposto al “Museo delle Migrazioni, Cammini e Storie di Popoli” di Pettinengo è stato portato all’offertorio assieme al Nepente, il “cannonau” di Oliena - apprezzato ovunque, nonché celebrato da Gabriele D'Annunzio – e al pane carasau di Fonni.

Dopo la Messa, la solenne celebrazione si è trasferita presso l’area monumentale di Nuraghe Chervu, con la processione e l’alzabandiera, a cura del Nucleo biellese dell’Associazione Nazionale Brigata “Sassari”, intitolato al capitano Emilio Lussu. Con loro, le “Guardie dell'Istituto Nazionale per la Guardia d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon” (la più antica Associazione Combattentistica e d'Arma d'Italia), con Renato Conzon, Ispettore Nazionale con delega per l’Italia Settentrionale, con il Maresciallo Antonio Diego Piras, presidente a Biella dell’Associazione Nazionale Carabinieri in congedo, e con la rappresentanza della sezione biellese dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, Guardia d'Onore alla Tomba del Fondatore del Corpo, gen. Alessandro La Marmora, presenti Giuliano Lusiani e il presidente provinciale, Claudio Bertagnolio.

A incorniciare il mosaico monumentale formato da lastre provenienti da circa settecento comuni italiani - che recano scolpiti il nome della località e il numero dei Caduti durante la Prima guerra mondiale - le Donne del grano in abiti tradizionali. Nelle loro mani il piatto di sa gratzia, ricolmo di petali di fiori e semi di frumento, per l’antica benedizione seguita dalla rottura del piatto al passaggio del sacerdote che, con l’Acqua Santa, asperge pietre e popolo.

In chiusura, le note di “Dimonios”, l’inno della Brigata “Sassari”.

(Unioneonline/s.s.)

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