«Il 5 aprile scorso il Regno Unito notificava all’OMS una decina di casi di epatite acuta di origine sconosciuta in bambini di età inferiore a 10 anni. In poco più di un mese sono stati identificati oltre 300 casi in almeno 20 Paesi nel mondo. Fino a oggi il virus dell’epatite A, a trasmissione feco-orale, ha interessato i Paesi in via di sviluppo, diffondendosi rapidamente nei bambini con quadri di infezioni asintomatiche, provocando molto raramente quadri di epatite acuta grave». Parte da qui il professor Luchino Chessa, responsabile della SS Malattie del fegato dell’Aou di Cagliari, per affrontare l’epatite acuta infantile ieri pomeriggio a “15 minuti con…” il talk sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo Unione Sarda, condotto dal responsabile Comunicazione e Relazioni esterne, il giornalista Fabrizio Meloni.

«Un aspetto particolare di questa nuova epatite acuta», prosegue Chessa, «è il fatto di non essere legata ai classici virus epatitici A, B, C, D ed E, mentre l’altro è la gravità della malattia epatica che si manifesta in seguito all’infezione. Infatti, il Centers for desease control and prevention di Atlanta, che sta indagando e monitorando con attenzione 109 casi distribuiti in 24 Stati degli Stati Uniti a partire dallo scorso ottobre, ha messo in evidenza che il 90% ha avuto necessità del ricovero, il 4% purtroppo è deceduto e il 14% è stato sottoposto a trapianto di fegato. Un dato molto allarmante che ha comportato la messa in atto di un sistema di sorveglianza a livello di OMS e nei paesi di tutto il mondo, tra cui l’Italia. Infatti, il Ministero della Salute nella circolare del 23/04/2022 ha raccomandato la segnalazione di ogni eventuale caso di epatite acuta che risponda alla definizione adottata dall'OMS stessa (soggetti di età inferiore a 16 anni con un quadro di epatite acuta e negativi ai virus epatitici conosciuti, a partire da gennaio 2022). Allo stato attuale, la sua causa rimane sconosciuta».

«Le indagini in corso, nei vari paesi in cui si stanno presentando i casi», aggiunge l’epatologo, «escludono prima di tutto che ci sia una relazione con il Covid-19 e tanto meno con le vaccinazioni anti-SARS-CoV-2. Si sta facendo strada, invece, la possibilità di una stretta relazione con gli adenovirus, in particolare l’F41, normalmente causa di infezioni respiratorie e gastrointestinali nei bambini e solo raramente di epatiti acute in adulti con compromissione immunitaria. Il loro ruolo nell’epatite acuta infantile è stato ipotizzato dai ricercatori del Regno Unito, ma non ancora confermato in via definitiva. Le ipotesi più accreditate sono la circolazione di una nuova variante di Adenovirus, che può causare epatite grave nei bambini, o che una variante già normalmente in circolazione stia colpendo i bimbi più piccoli immunologicamente non protetti, in seguito a una minore circolazione del virus per uso di dispositivi di protezione individuale durante la pandemia».

Luca Mirarchi

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Consumo di carne e benessere degli animali

Chi limita di molto carni, insaccati e simili o rinuncia definitivamente a questi alimenti non lo farebbe per una scelta di natura ambientale, ma giustificherebbe la sua scelta soprattutto con l’attenzione al benessere degli animali ed alla propria salute. A dare questa indicazione è una curiosa ricerca condotta in Germania, sulla scorta di tanti alimenti sostitutivi di origine vegetale per bistecche, salami e simili, condotta da esperti dell’Università di Bonn. Lo studio è stato pubblicato su Food Quality and Preference ed ha preso in esame poco meno di 500 persone in Germania. E da noi come va? Sempre più consumatori oggi ritengono la garanzia del benessere degli animali da allevamento un elemento fondamentale nelle scelte di acquisto, oltre che un aspetto da considerare nella definizione della propria dieta. Lo segnala un che Aisa, l’Associazione Nazionale Imprese Salute Animale, ha realizzato, in collaborazione con SWG, per comprendere quali siano oggi le scelte alimentari degli italiani e le loro considerazioni sul binomio allevamenti e benessere animale. Dall’analisi emerge che il 57% degli intervistati conferma come un’alimentazione composta in egual misura da alimenti di origine animale e non sia quella più seguita. Alimenti di origine animale che, stando a quanto emerge dal sondaggio, sono tra i preferiti dalla fascia di popolazione tra i 18 e 34 anni (18% del campione) che ne ha dichiarato un consumo fino a quattro volte a settimana, facendo così di carne e latticini la propria principale fonte di alimentazione. Il consumatore si dichiara pronto a pagare un prezzo più alto; il 67% degli italiani non ha dubbi, sì a un prezzo maggiore se sull’etichetta è presente una certificazione relativa alla tutela del benessere in allevamento. Meno semplice cambiare dieta: è d’accordo e pronto a diminuire il consumo di prodotti di origine animale chi già ne consuma poco o per nulla (85%), in confronto a chi invece ne fa l’elemento principale della propria dieta: in questo caso la percentuale crolla al 44%.

Federico Mereta

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