Quando il medico sospetta una calcolosi renale, generalmente prescrive alcuni accertamenti: l’analisi delle urine consente di individuare la presenza dei cristalli responsabili della calcolosi, sangue e batteri; gli esami ematochimici consentono di monitorare il funzionamento dei reni nel tempo. Quindi, l’analisi del calcolo renale espulso con le urine permette di comprendere le cause che lo hanno originato e di impostare la terapia più adatta. Per preservare il calcolo è necessario però filtrare l’urina con una garza, andando così a prelevare il calcolo. Infine, la diagnostica per immagini, aiuta ad accertare la localizzazione tramite ecografia, tac e urografia endovenosa. Un soggetto che tende a sviluppare calcolosi renale deve assumere uno stile di vita in grado di evitare o di ridurre il rischio di ricomparsa, affidandosi al medico per individuare la soluzione migliore.

La terapia

Nei casi in cui i calcoli renali non siano sufficientemente piccoli da essere espulsi facilmente con le urine, possono causare un dolore così intenso da rendere necessario l’intervento dello specialista. Se compaiono nausea e vomito, il medico procede con la prescrizione di antiemetici; un dolore intenso può essere ridotto con antidolorifici; gli antibiotici vengono prescritti in caso di infezione delle vie urinarie.

Una volta eliminati, i calcoli possono ripresentarsi: il rischio di recidiva è altissimo. Per lo specialista diventa dunque cruciale conoscerne la natura e la composizione, nel tentativo di individuare la strada migliore per evitare che possano riformarsi. Quando il calcolo diventa così doloroso da rendere necessario il ricovero - generalmente se il diametro supera i 6-7 millimetri - si può intervenire con tecniche come l’ureteroscopia, la chirurgia aperta, la litrotripsia extracorporea a onde d’urto e la nefrolitotomia percutanea.

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