«Questo decreto cancella la nostra autonomia energetica e tratta la Sardegna al pari di una colonia. Se non saranno apportati correttivi difenderemo i nostri interessi in tutte le sedi».

Il presidente della Regione Christian Solinas confida ancora in un passo indietro del Governo sul decreto energia approvato due giorni fa.

Presidente, L’Unione Sarda rappresenta da tempo ai sardi, e lo ha fatto anche attraverso un’edizione speciale, il fatto che l’Isola rischia di diventare una colonia energetica dell’Italia. Poi è arrivato il decreto del presidente del Consiglio. Su queste questioni si sente commissariato dal Governo?

«Questo decreto non soddisfa le esigenze vitali della Sardegna né sotto il profilo delle utenze delle attività produttive né sotto quello del riequilibrio di una intollerabile disparità che abbiamo subito per decenni che riguarda tutti i cittadini».

Si riferisce al costo maggiorato dell’energia?

«Sì, parlo della possibilità di concorrere alla pari con il resto del Paese. E abbiamo detto che non ci soddisfa per tre ragioni».

Quali?

«Una è la tariffa, perché non realizza una certezza nella perequazione tariffaria tra cittadini e imprese e addirittura sembrerebbe dividere la Sardegna in due grandi porzioni: una con circa 178 Comuni che hanno i bacini di distribuzione del gas realizzati o in fase di realizzazione che in base a quanto deciderà Arera dovrebbero avere una tariffa perequata – anche se non è garantito che lo sia al pari degli altri ambiti del Paese - un’altra con tutti gli altri Comuni, con un totale di circa 600 mila abitanti, per i quali non ci sarebbe alcuna perequazione e si andrebbe a tariffa di mercato».

Il secondo?

«Si cancella di fatto l’autonomia energetica della Regione».

Anche perché la Sardegna già adesso produce più energia di quella che consuma.

«Non solo. Abbiamo già raggiunto e superato gli obiettivi di produzione da fonti rinnovabili. Questo non si è tradotto in un beneficio reale per cittadini e imprese, cioè in una diminuzione premiale del costo dell’energia ma ha portato bollette più alte e paradossalmente una compromissione progressiva del territorio regionale. Qualcuno ha addirittura ipotizzato il passaggio senza alcuna transizione dalle fonti fossili al tutto elettrico alimentato da fonti rinnovabili».

Il progetto di Enel?

«Sì, vorrebbero chiudere la centrale Grazia Deledda nel Sulcis, in un territorio già martoriato dalle tante crisi industriali e dalla disoccupazione, e trasformarla in una centrale di accumulo con grandi batterie con all’interno il litio, materiale altamente inquinante, che dovrebbero garantire l'accumulo di energia eolica e fotovoltaica. Questo modello non consente di realizzare il terzo requisito che noi abbiamo sempre richiesto, cioè la stabilità e la robustezza del nostro sistema di approvvigionamento energetico».

In Sicilia, intanto, Enel riconverte le centrali a carbone in centrali a gas.

«Significa che verosimilmente attraverso il Tyrrhenian link noi manderemo le quote di energia da fonti rinnovabili verso il resto del Paese ma avremo bisogno di acquisire dalle centrali termoelettriche siciliane in fase di riconversione a gas l’energia per garantire stabilità al nostro sistema produttivo».

Eppure qualcuno è arrivato a sostenere che attraverso questo decreto si inizierebbe un percorso verso il gas e la metanizzazione.

«Invece questo decreto ha cancellato il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione perché ha ignorato l’intesa, prevista dalla nostra costituzione e delle nostre competenze autonomistiche. Ricordo che su provvedimenti in materia di produzione trasporto e distribuzione dell’energia è attribuita alla concorrenza tra Stato e Regione. Già solo questo configura un atteggiamento di prevaricazione e coloniale che noi sardi ben conosciamo, perché lo abbiamo dovuto subire più volte nei secoli. Oggi credo si vada incontro a una nuova forma di servitù nell’utilizzare il territorio della Sardegna per garantire al resto del Paese il raggiungimento degli obiettivi fissati negli accordi di Parigi in termini di decarbonizzazione e phase out».

Che cosa avete fatto per evitarlo?

«Abbiamo chiesto di contemperare le ragioni dell’Autonomia dell’Isola e della pianificazione efficace del territorio e le esigenze dello Stato in termini di decarbonizzazione. È impensabile che non ci siano delle compensazioni per la Sardegna. Come se fossimo l’ultima colonia del Paese».

E quali sono le compensazioni di cui parla?

«Vantaggi reali per tutti i sardi. Ma questo decreto non ne porta e impone il sacrificio del territorio per interessi nazionali».

Chiederete di riscrivere o di modificare il decreto?

«Chiediamo di apportare quei correttivi che consentano di individuare compensazioni chiare per la Sardegna, benefici in termini di tariffe per tutti i cittadini e le imprese e soprattutto la possibilità per la Sardegna di pianificare il proprio assetto energetico. Se tutto questo non sarà ascoltato difenderemo gli interessi della Sardegna in tutte le sedi e lo faremo con la certezza che si tratta di una partita fondamentale. Aggiungo una cosa».

Quale?

«Questo decreto è stato letto da chi aveva interesse a sostenerlo solo dal punto di vista del gas, ma contiene un punto nodale: postponendo la possibilità di approvvigionamento e attribuendola all’esito delle gare per il Capacity market si rende di fatto impossibile la riconversione delle centrali da carbone a gas. Si individua esclusivamente nelle navi rigassificatrici, una a Porto Torres, l’altra a Portovesme, la possibilità di approvvigionamento prima per l’industria poi per i bacini ma non si dice che contestualmente si è attribuito lo stock di energia da fonti rinnovabili in misura tale da determinare che prima ancora che si possa fare la legge sulle aree idonee chiunque possa posizionare impianti per eolico e fotovoltaico in tutto il territorio regionale. È su questo che bisogna riportare l’attenzione».

Anche qui siete stati bypassati.

«Noi abbiamo sostenuto che un percorso virtuoso di leale collaborazione avrebbe dovuto prevedere prima il decreto attuativo del Governo sulle aree idonee, che avrebbe consentito alla Regione di adottare la propria legge regionale per individuarle. Si tratta di trovare un equilibrio tra l’ubicazione delle centrali per la produzione dell’energia e le ragioni di tutela ambientale e paesaggistica e di destinazione urbanistica del territorio. Non è pensabile che si sostituisca la vocazione alla produzione primaria di alcuni suoli particolarmente fertili soltanto perché è più conveniente metterci sopra pannelli fotovoltaici. Serve un criterio».

Il decreto sembra non tenere conto dello stravolgimento degli scenari energetici determinati dalla guerra.

«È uno dei vizi di impostazione di questo provvedimento. La guerra e le sanzioni costringono il Paese a riprogrammare l’approvvigionamento di 40 miliardi di metri cubi di gas per garantire il mantenimento dello status quo e ciò determinerà dei cambiamenti radicali sia nel percorso di phase out dal carbone sia nel sistema di approvvigionamento. Attualmente in Italia esistono solo tre centrali di rigassificazione a La Spezia, Livorno e Rovigo che trattano solo 9 miliardi di metri cubi. Sarà necessario potenziare queste e realizzare nuove aree di rigassificazione, ma non in un’Isola che non avendo il metano non deve mantenere nessuno status quo».

Insomma, nei prossimi anni il gas in Sardegna non arriverà. Nel frattempo andiamo incontro a un’invasione di rinnovabili.

«Attraverso il Tyrrhenian link e il potenziamento di Sacoi e Sapei il resto d’Italia raggiungerà gli obiettivi di produzione energetica da fonti rinnovabili sul territorio sardo. Davanti a un ragionamento di questo tipo non è pensabile che Stato e Regione non trovino una soluzione condivisa che preveda compensazioni chiare e garantite. Pensi che in Germania un ministro dei Verdi ha annunciato che la sua transizione durerà sino al 2035 attraverso una graduale espansione delle rinnovabili ed il potenziamento della strategia dell’idrogeno dando così una prospettiva certa al proprio sistema produttivo. Mi chiedo quali elementi credibili possano far sostenere al governo italiano che sia possibile completare il phase out dal carbone nel 2025».

Avete chiesto il sostegno dei vostri alleati della Lega al Governo e in parlamento per far valere le vostre ragioni? Ci sono state interlocuzioni?

«L’assessora all’Industria ha dialogato con il ministero della Transizione ecologica, ma a un certo momento il ministro, dopo lunghe trattative e atti formali della Regione, ha deciso incomprensibilmente di siglare questo testo facendo sparire il passaggio fondamentale contenuto sino all’ultima bozza che noi abbiamo visionato, cioè l’intesa della Regione».

Tra i temi che avete portato al tavolo del Governo c’era la dorsale per il metano, utile un domani anche per l’idrogeno?

«Noi abbiamo ricordato che c'era un patto tra Regione e Stato che doveva essere rispettato a prescindere da chi fosse al Governo. Tanto che il tronco sud della dorsale è stato approvato in tempi rapidi. Poi il progetto è stato abbandonato per le iniziative schizofreniche di diverse partecipate dello Stato che hanno messo in campo visioni differenti di futuro energetico e di futuro dell’Isola. Sia chiaro: la Regione non è l’ente che ha rallentato l’iter, come sostiene qualcuno. La nostra linea è stata sempre chiara e abbiamo adempiuto a tutti gli obblighi, siamo parte lesa e abbiamo subito un processo deciso lontano da qui».

Il Tyrrhenian link sancirà la fine della nostra autonomia energetica?

«Il Tyrrhenian link non può essere proposto come regalo ai sardi. È un grande investimento infrastrutturale fatto da Terna ma che risponde ad esigenze di stabilità del sistema elettrico nazionale».

In compenso avremo centinaia di carri bombolai che attraverseranno le strade della Sardegna in condizioni di insicurezza.

«È una soluzione che abbiamo contrastato da subito. Chiunque conosce il nostro sistema viario sa che è un piano allucinante. Abbiamo detto con forza fin dal principio che ci sarebbe dovuto essere, semmai, un incentivo per concludere i bacini territoriali e far sì che ogni comune potesse essere approvvigionato in condizioni di uguaglianza. Così si rischia di alimentare una disparità tra comuni. È inaccettabile».

Intendete proporre osservazioni anche contro i progetti di impianti off shore nel Golfo degli Angeli, nel Sulcis e in Gallura?

«Sì, non è pensabile che si debba spiegare ai cittadini dei Comuni più piccoli che ci sono problemi nel sostituire una persiana, ma non c’è un problema di impatto paesaggistico se si realizzano strutture enormi dentro ecosistemi fragili da tutelare. Serve un tavolo immediato tra Stato e Regione per trovare un metro di valutazione che sia comprensibile ai cittadini».

Il progetto del Galsi potrebbe tornare in auge?

«Sì, perché credo che sia sbagliato in linea di principio pensare di avere un’unica fonte di fornitura energetica. Avere più opzioni garantisce migliori tariffe e maggiore stabilità». 

Il Governo ha detto sì alla ristrutturazione del parco eolico di Saccargia contro i pareri del ministero dei Beni culturali, della Regione e contro una sentenza del Tar. Che cosa farete?

«Stiamo valutando con l’area legale quali iniziative porre in essere. Ripeto, non è tollerabile che si vessino i cittadini con mille vincoli mentre le grandi multinazionali vivono in una sorta di zona franca».

Fabio Manca

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