L'incognita di Matteo Renzi sul congresso Pd irrompe nel dibattito interno al centrosinistra.

I retroscenisti sono scatenati dopo il ritiro dalla corsa alla segreteria di Marco Minniti, l'ex ministro dell'Interno che sembrava l'uomo in grado di mettere d'accordo tutti i renziani e invece ha fatto un passo indietro proprio per lo scarso appoggio che a suo dire ha ricevuto da Renzi.

"Non mi occupo del congresso", diceva sprezzante il senatore fiorentino fino a qualche giorno fa. "E se mi candidassi?", avrebbe detto invece ai fedelissimi dopo lo scontro con l'ex ministro dell'Interno.

L'ex presidente del Consiglio, secondo molti, è pronto a scendere nuovamente in campo. E non con un partito tutto suo, come ormai pareva scontato dopo la formazione dei comitati civici a cui hanno lavorato i suoi fedelissimi, a partire da Scalfarotto.

Il senatore di Scandicci avrebbe commissionato un sondaggio lampo ("Chi votereste alle primarie tra Renzi, Martina e Zingaretti?"), e in base ai risultati deciderà se sfidare Zingaretti o proseguire nel progetto di un partito tutto suo, alla Macron.

Riprendersi il partito che ha portato prima ai massimi, poi ai minimi storici, o lasciarlo? Questo il dilemma di Renzi, il problema è che la sua decisione pare più legata ad ambizioni personali che ad un concreto progetto per il Paese.

I tempi sono stretti, i termini per presentare la candidatura scadono il 12 dicembre. E i renziani sono in fibrillazione, aspettano la decisione del capo.

Gli attacchi a Zingaretti si sprecano, i renziani puntano a primarie-guerra tra due visioni contrapposte del partito: disegnano un presidente del Lazio pronto ad allearsi con i 5 Stelle e contrappongono la loro visione di un partito che non può stringere alleanze con i populisti.

Sarebbero le terze primarie Pd a cui Renzi prende parte, le quarte in totale. Dopo aver perso quelle di centrosinistra con Bersani, ha vinto quelle interne ai dem, nel 2013 davanti a Cuperlo, nel 2017 davanti a Orlando.

(Unioneonline/L)
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