L’Italia è il quarto Paese Ocse per la pressione fiscale. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico riunisce le economie più avanzate, che sono quelle in cui la tassazione tende a essere più elevata, rispetto al prodotto. Attenzione a non invertire i nessi causali: non è che siccome questi Paesi pagano imposte elevate, sono più ricchi. Al contrario, siccome sono più ricchi possono pagare imposte elevate.

Una famiglia benestante può concedersi una vacanza esotica, una che fa fatica difenderà con le unghie la sua gita fuori porta. Uno Stato che fa tante cose richiede che si sia già raggiunto un certo livello di sviluppo. Prima, non è possibile immaginare di sottrarre quote così rilevanti del loro reddito alle famiglie. Se lo si facesse, le persone si ribellerebbero.

Alcuni storici calcolano che l’insieme delle misure fiscali che l’Impero britannico poneva sulle spalle degli americani, prima che essi dichiarassero l’indipendenza, ammontava a qualcosa come l’1-1,5% del reddito pro capite dei coloni. Contava non solo il peso delle imposte, ma che esse provenissero da una potenza lontana. E tuttavia livelli così bassi di tassazione erano quelli compatibili con redditi molto contenuti, rispetto ai quali si avverte il peso anche di un euro ogni cento.

In Italia nel 2024 il 42,8% del Pil è andato in imposte. Nel corso degli ultimi vent’anni, questo valore sembrerebbe rimasto stabile: nel 2000, era il 40%. Ma in realtà è abbastanza coerente con quanto è cresciuta l’economia italiana nel medesimo periodo: fra il 2000 e il 2024, la crescita cumulata è stata nell’ordine dell’8%. Il carico fiscale è aumentato un po’ meno di quanto non sia cresciuta l’economia stessa.

Questo fa sì che, fra i Paesi Ocse, l’Italia sia il quarto per peso del fisco: prima di noi Danimarca, Francia e Austria. Danimarca e Austria sono Paesi molto piccoli, nei quali all’elevata pressione fiscale corrispondono servizi pubblici di alta qualità. Su quella scala, l’organizzazione della pubblica amministrazione è più semplice. Inoltre, è relativamente più facile “votare con i piedi”, ovvero trasferirsi da un Paese piccolo a un altro più grande: proprio perché i confini cingono una porzione inferiore di territorio.

L’analisi dell’Ocse sottolinea come in Italia il gettito da contributi previdenziali sia più elevato che negli altri Paesi Ocse (29,9 contro 25,6% del gettito complessivo) e lo stesso possa dirsi di imposte sul reddito e sui profitti delle persone fisiche (27 contro 23,7%). Mentre a livello di tasse sulle proprietà siamo leggermente sopra la media: 5,4 contro 5,1.

Se il governo volesse ridurre la pressione fiscale, da dove dovrebbe cominciare? Negli ultimi anni abbiamo assistito a più di un’iniziativa in tal senso, volta ora a privilegiare questo o quel segmento della popolazione: il fatto che la pressione fiscale comunque sia cresciuta suggerisce come abbiamo solo tirato la coperta da una parte o dall’altra. In parte i tagli hanno pareggiato l’effetto dell’inflazione, in parte sono stati compensati da altri aggravi.

Ridurre le tasse sarebbe auspicabile, ma per farlo in modo non cosmetico bisognerebbe prima tagliare la spesa pubblica: decidere che certe cose non possono più essere lasciate alle scelte collettive. Se i ricchi possono permettersi uno Stato pesante, uno Stato leggero di solito dà più respiro all’economia.

Negli Usa la pressione fiscale è il 25,6%, quasi dieci punti sotto la media Ocse. Nel 2024 il Pil americano era una volta e mezzo quello del 2000. La crescita non si spiega solo con le tasse relativamente più basse, ma tasse più basse aiutano a crescere.

© Riproduzione riservata