A d aver coniato l’espressione “un passato servibile” è stato lo storico e critico americano Van Wyck Brooks (1886-1963), colui che applicava alla critica letteraria di un autore lo stesso metodo degli attuali cacciatori di teste, basato essenzialmente sull’approccio biografico. Esemplifico: poche ciance, quel che conta è il tuo curriculum, quel che hai fatto e i risultati che hai ottenuto. (…)

D evo sforzarmi per capire come questo approccio possa aver aiutato il risveglio di una coscienza critica della letteratura americana (uno dei meriti di Brooks) mentre mi sembra possa facilmente costituire le fondamenta di tante lezioni di marketing che parlano di vendere non un prodotto ma una storia, della necessità di spessore e di “background”, d’immagine e identità. Facendo un sarcastico inciso, se avessimo dovuto applicare l’approccio di Brooks alla moderna letteratura italiana ci saremmo persi una lista infinita di romanzi indimenticabili, non per caso dimenticati, per accontentarci invece di apprendisti come Faulkner, Steinbeck Hemingway, Bellow, Roth, etc.

Torniamo tuttavia alla storia e all’espressione “un passato servibile” che forse può ben apprezzare chi ha lavorato molto all’estero e ha potuto toccare con mano la prospettiva da cui veniamo giudicati come italiani. Ovviamente generalizzo, ma rimane il fatto che noi non abbiamo un buon curriculum che ci aiuti, purtroppo, e questo pesa nei momenti topici come l’attuale. Per spiegare, il più efficiente megafono utilizzabile per comunicare è stato senza dubbio il cinema (oggi internet e i social stanno scompaginando il panorama). Esaurito il miracolo poetico del neorealismo, l’italiano che abbiamo meglio veicolato è stato infatti Alberto Sordi, seguito dai vari Gassman, Verdone e in ultimo Zalone – per citare i più rilevanti. Mentre Hollywood creava il mito dell’americano onesto, eroico, sempre e comunque vittorioso se non altro nei principi difesi, noi ci si siamo abbandonati al compiacimento dei nostri difetti, all’esaltazione delle nostre debolezze. “I vitelloni”, “Il medico della mutua”, “Il marchese del grillo”, “I mostri”, “Il sorpasso”, “Un sacco bello”, “Sole a catinelle”, “Quo vado”, ecc., compongono una collezione di umanamente discutibili personaggi “italiani” che sono diventati purtroppo lo sfondo del nostro biglietto da visita. Non importa se essi rappresentano la realtà con la quale dobbiamo fare i conti quotidianamente, non importa se si tratta non di finzione ma di presa d’atto (è un’altra definizione di realismo), anzi: il problema è che, come diceva Agassi, “Nel mondo del 2000 l’immagine è tutto,” e noi ci muoviamo appesantiti da una fama drammaticamente convergente.

Pensiamo alla scomparsa delle nostre realizzazioni all’estero (sino agli anni ’70 gli italiani costruivano dighe, strade e impianti in tutto il mondo), al numero di governi che possiamo vantare, al debito pubblico, all’evasione, la burocrazia e la corruzione. Pensiamo all’Alitalia, a come il nostro “made in Italy” sia stato per la maggior parte acquisito da gruppi stranieri, al mancato funzionamento della giustizia, al declino delle infrastrutture, all’abnorme carico fiscale. Possiamo citare tante eccezioni, certamente, mille esempi positivi e speranze, ma non sorprendiamoci se in oriente ci chiamano “Talk talk”, parla parla, e in occidente “Guinea” – si pronuncia “ghini”.

All’estero, per ogni progetto ci confrontiamo con quella che Cohen chiama “condiscendenza a bassa intensit à”: possiamo essere ottimi manager ma non siamo tedeschi; meravigliosi creativi ma non francesi; profondi insegnanti ma non pedantemente inglesi; arroganti e maleducati ma non americani (e nel frattempo, la Ferrari stessa è diventata olandese, europea, lasciandosi alle spalle il nostro orgoglio sovranista). Nessun passato servibile, non abbiamo mai tratto forza dalla gloria passata e non abbiamo mai colto le occasioni per rinvigorirla, anzi dobbiamo dimenticarla diventando antistorici o astorici, guardando avanti e facendoci apprezzare indipendentemente da. Come sollecita qualcuno: qual è la terapia? Oggi non ho ricette magiche, mi spiace. Sento che siamo dall’altra parte della storia, irrilevanti e perdenti, tanto ciacolanti da non avvertire neanche quanto già avvenuto alla Grecia.

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