F ino a pochi anni fa guardavamo alla democrazia statunitense con invidia. I cittadini americani votano per il loro Presidente una volta ogni quattro anni e questo strano “monarca eletto”, dai poteri amplissimi ma bilanciati da una architettura di contropoteri tutto fuorché deboli, governa davvero, può lasciare il segno con riforme che portano la sua firma e poi si sottopone al giudizio degli elettori. Il “monarca eletto” raramente lo era per caso. Anche se non tutti avevano il volto fotogenico di John Fitzgerald Kennedy o Barack Obama, i Presidente americani di solito erano delle “belle storie”.

G enerali vittoriosi, avvocati intelligentissimi che danno la scalata al governo federale, grandi comunicatori che sanno infondere ottimismo a tutto un Paese. Fa impressione pensare che gli Usa si troveranno a scegliere, nel 2024, di nuovo fra Joe Biden e Donald Trump. Trump tenta l’impensabile: la rivincita. Nella storia americana, solo un Presidente ha fatto due mandati non consecutivi: Grover Cleveland, centoventi anni fa. Qualcuno specula che Biden sia destinato a seguire invece le orme di Lyndon Johnson: a proclamarsi candidato fino all’ultimo, sfilandosi poi al momento delle elezioni. Ma per fare spazio a chi? La sua vicepresidente, Kamala Harris, non gode di grandi simpatie fra gli stessi democratici. Un ripescaggio di Hillary Clinton è impensabile, a meno di non voler stendere a Trump il tappeto rosso.

I repubblicani dovevano serbare il ricordo delle primarie che hanno portato Donald Trump a essere candidato alla Casa Bianca e quindi a conquistarla. Trump era forte del sostegno di un terzo del partito, ma i restanti due terzi disperdevano il proprio voto fra troppi candidati diversi. Anche questa volta la dirigenza della destra non è stata in grado di costruire una candidatura alternativa. Persino i pretendenti apparentemente più solidi, come il governatore della Florida Ron De Santis che doveva essere una specie di Trump capace di stare a tavola, si sono dimostrati dei fuochi fatui. In più, esattamente come con Berlusconi in Italia, essere finito nel mirino della magistratura ha reso Trump non meno bensì più popolare presso i suoi elettori. La nomination, insomma, l’ha già in tasca.

L’anno prossimo Trump avrà 78 anni, Biden 82. La prima democrazia del mondo, il Paese più economicamente dinamico e militarmente importante del pianeta, non riesce a esprimere altro? Ogni tanto capita, nella storia, che vi siano luoghi e momenti che non riescono a generare leader. Non è detto sia un male: i leader ogni tanto si appellano ai nostri peggiori sentimenti e rendono teatrale e controversa l’attività di governo. Una politica senza leader può essere più consensuale e tranquilla. Ma la prossima campagna elettorale statunitense non sarà sciapa come un brodino da casa di riposo. Eletto come incarnazione del ritorno alla normalità, Biden, che per tutta la vita era stato un parlamentare incolore, ha messo in campo scelte molto più radicali di quelle di Barack Obama. La sua politica economica ha portato alla moltiplicazione delle spese pubbliche, alla proliferazione dei sussidi, a un protezionismo più marcato di quello di Trump.

Convinto di essere vittima di brogli elettorali (resi possibili dal massiccio ricorso al voto postale), Trump è ancora più aggressivo di quanto fosse in passato. La retorica dell’occupazione delle istituzioni da parte di un Presidente “abusivo” infiamma i suoi sostenitori e li mobilita. Il suo asso nella manica sarà la guerra: dall’Iraq in poi, gli americani votano regolarmente per il candidato più incline a ridimensionare gli impegni internazionali.

La reciproca accusa di mettere in pericolo la demo crazia scaverà un solco ancora più profondo fra destra e sinistra. Saranno elezioni “calde”, caratterizzate da monologhi indiavolati, affidati alla recita di due vecchi signori.

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