S eguendo quel che accade nei trecento e passa Comuni di quest’isola, come attentamente riportato ogni giorno nelle cronache di questo nostro giornale, si ricava l’immagine di comunità insoddisfatte ed avvilite, in costante sofferenza per via degli abusi ambientali, dei contrasti politici, delle pene per un lavoro perduto o smarrito e dell’eclissi dei servizi essenziali. Parrebbero le cronache di una decadenza civile sempre più pesante ed opprimente, come capita nell’invecchiamento del genere umano.

Una senescenza, peraltro, che ha riguardato anche, e soprattutto, l’intera popolazione, che ha visto raddoppiarsi il suo indice d’invecchiamento, passato in questi ultimi 30 anni (dati Istat) da 110,3 a 231,5, e con un’età media dei sardi che ormai sfiora i 50 anni (dodici in più da inizio secolo).

Così anche l’intera Sardegna – pare giusto rimarcarlo – appare invecchiata precocemente con le sue città, i suoi paesi insieme alla sua gente. È invecchiata nelle sue infrastrutture civili, dalle ferrovie alla rete viaria ed a quella acquedottistica; dalle aree industriali e sportive agli ospedali e ambulatori, ed a tutto quanto dovrebbe essere funzionale al ben vivere.

U n insieme, quindi, che evidenzia il deterioramento determinato dal tempo trascorso nell’incuria, nel disinteresse e nelle disattenzioni dei suoi governanti d’ogni colore. È, questa nostra, una Regione ormai già vecchia, malandata e malaticcia, nell’identità prima ancora che nell’organizzazione, nell‘affidabilità più che nell’operatività. A causa della presenza, come direbbero i medici, di diversi malfunzionamenti cellulari, attribuibili ad una senescenza replicativa. Pare proprio questa la morale che si può trarre seguendo quelle cronache quotidiane dei nostri paesi dove tutto parrebbe invecchiato tanto da aver eletto il “museo” a loro brand.

In effetti, nell’analizzare dati obiettivi ed impressioni personali, si possono comprendere i diversi perché la Sardegna non sia più un paese per giovani, per quanti oggi s’affacciano ad una vita e ad un futuro di lavoro. Perché tutto il contesto sociale sembra rivolto, con attenzioni ed investimenti, più al passato che al futuro, figurativamente più alle residenze per anziani che agli asili nido ed alle scuole postuniversitarie. A conferma, ci sono i numeri delle continue emigrazioni giovanili, con ben sei o sette decine di migliaia di under 35, in gran parte con un alto titolo di studio, che l’hanno dovuta abbandonare per altri lidi, in cerca di migliore fortuna. Così giovani sardi in carriera ce ne sono oggi sparsi per il mondo, all’Ocse, alla Banca Mondiale, alla BlackRock Investment, alla White House, alla Henkel, alla Bce.

Si tratta di un fenomeno che sconcerta, che preoccupa fortemente e soprattutto che richiede, e pretende, l’adozione di decisi correttivi per suturare le ferite sempre più dolorose aperte dalla persistente decrescita economica e dai forti disagi per le diseguali ed insufficienti infrastrutture territoriali. Per questo impegno non occorre chiamare in causa solo la politica, con le sue istituzioni ed i suoi uomini: bisognerebbe poter soprattutto contare sul coinvolgimento, attivo e partecipativo, delle formazioni sociali rappresentative dell’impresa, della scuola, della cultura, del lavoro e del terzo settore.

La Sardegna ha un bisogno assoluto di ringiovanire, perché non può rimanere un paese di vecchi (ormai sono oltre 400mila gli over 65, oltre un quarto della popolazione, dai 190mila che erano nel 1992). Per risolvere il problema occorre che la Regione – qui intesa come establishment a campo largo – ponga i giovani al centro di ogni iniziativa. Non sarà facile, ma occorre impegnarsi decisamente per raggiungere l’obiettivo. Magari riprendendo, e potenziando, sia il sostegno all’imprenditoria giovanile che gli sgravi contributivi ai giovani neo-assunti ed i corsi professionalizzanti. D’altra parte, esistono altrove degli esempi concreti da imitare (si cita ad esempio il programma “Giovani Sì” della Toscana) contenente una pluralità di misure per facilitare, aiutare ed accompagnare i giovani al mondo del lavoro (tirocini, apprendistato, fare impresa, servizio civile, coworking). Può essere anche questa una strada possibile da seguire, proprio perché occ orre far sì che nel futuro dell’Isola non ci siano più novantamila e passa giovani come possibili nuovi “sardi nel mondo”.

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