La sanità sarda ha una malattia genetica. Comune, peraltro, a quella di molte altre regioni italiane. Solo un po’ più grave. L’ultimo caso è quello dei medici in affitto.

Non avendo personale sufficiente per far funzionare i pronto soccorso, l’Ares (Azienda regionale della Salute) ha bandito un appalto perché i posti vengano coperti da medici in affitto.

Va detto che l’assessorato alla Sanità non avrebbe potuto fare altrimenti. Magari, avrebbe potuto farlo meglio, ma tant’è. (...)

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M a torniamo alla malattia genetica. L’errore è stato fatto nel recente passato dal Governo nazionale che ha programmato male l’accesso alle facoltà di Medicina. Vigendo il numero chiuso, i nostri governanti non hanno tenuto conto delle esigenze future (politici che non pensano al domani, ci credereste mai?) e della massa di dottori sulla via del pensionamento. Quota 100 ha fatto il resto. Risultato: mancano medici in maniera drammatica. La Sardegna, inoltre, è poco attraente per i professionisti della medicina. Un po’ perché, per quanto bella, è pur sempre un’isola con enormi problemi di collegamenti, un po’ perché i nostri ospedali sono per la maggior parte un caos tra disorganizzazione e carenze di vario genere. Ecco perché in Sardegna la scarsità di personale è più acuta che in altre regioni d’Italia. L’Università non sforna medici a sufficienza a causa del numero chiuso e dei test spesso insuperabili per studenti provenienti da scuole superiori scadenti, che non formano i nostri giovani. Come si evince, i mali vengono da lontano.

È vero che adesso è stato dato impulso alle scuole di specializzazione decuplicando le borse di studio, ma gli effetti si sentiranno tra 4-5 anni. Nel frattempo? I medici in affitto. Una misura estrema, pesante per le casse pubbliche. Un dottore inquadrato nel sistema sanitario costa circa 400 euro lordi al giorno, uno ingaggiato da un ente esterno 700. Non solo. Il bando, scritto in maniera approssimativa, non richiede la specializzazione in medicina di urgenza. Quindi, i medici in affitto possono trattare solo codici bianchi e verdi. Roba da guardia medica, da medici di famiglia, insomma, e non da operatori di pronto soccorso. Anche in questo caso il problema dovrebbe essere affrontato alla radice, a livello nazionale. Per esempio, cambiando le norme e permettendo ai medici di operare su ogni caso si presenti dopo aver seguito un veloce corso di specializzazione. In breve, assumere per i pronto soccorso dottori con capacità di intervento limitate non risolve. E dire che il primo bando di questo genere, emesso per il pronto soccorso di Ghilarza, prevedeva l’obbligo di specializzazione in medicina d’urgenza. Poi, il requisito è sparito.

Trovo ingiusto gettare la croce addosso all’attuale assessore alla Sanità se i problemi hanno un’origine così lontana. Ma è anche vero che dal febbraio 2019 a oggi sono passati oltre tre anni e qualche cosa andava fatta. Ora alla Regione è in corso la verifica politica più lunga di sempre. Poi sarà tempo di elezioni. La sanità (malata) può attendere.

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