Q uando mai si sarebbe parlato nei giornali di tutto il mondo dello sfruttamento dei lavoratori in Qatar se non ci fossero stati i mondiali di calcio? Forse su qualche rivista specializzata che si occupa di politica internazionale. Per arrivare al grande pubblico e sulla stampa generalista, però, serviva qualcosa, per esempio un campionato mondiale. È uno dei grandi pregi dello sport quello di far conoscere quanto altrimenti resterebbe sotto traccia. In Argentina 1978 il regime militare fece vincere il torneo all’Albiceleste ma il mondo seppe cosa era accaduto e cosa accadeva in quel Paese.

I grandi maestri del giornalismo sportivo hanno sempre sostenuto che le cronache sportive facciano vedere molto di più di quello che accade in campo. Succedeva quando gli inviati della Gazzetta o di Tuttosport andavano a seguire le nostre squadre oltre la Cortina di ferro: erano gli unici cronisti non seguiti da un uomo del Kgb o della Stasi.

Ora, dunque, lo sport ci dà un’opportunità: accendere un faro, e anche molto luminoso, su un mondo come quello del Qatar dove circolano tantissimi soldi ma esistono poche regole. Da ieri anche nella penisola arabica si dovranno fare i conti con chi invece ha già portato sui campi di calcio le battaglie civili. Oggi il capitano dell’Olanda Van Dijk scenderà in campo con una fascia che è un simbolo per la comunità Lgbtq+. I giocatori inglesi invece hanno deciso che continueranno a inginocchiarsi in campo contro ogni discriminazione razziale. Peraltro giocheranno con l’Iran e il mondo attende di capire da che parte staranno i calciatori di una delle poche teocrazie che dura da oltre 40 anni. A Teheran la rivoluzione sta in quella foto dove due giovani si baciano in pubblico. A Doha, dove l’omossessualità è un reato, può essere nella stretta di mano tra l’emiro e il portavoce della Fifa, che ha annunciato di essere gay in mondovisione. Lo sport rompe barriere. Speriamo sia così anche in Qatar, anche perché per ora la nazionale di casa non gioca a calcio pur scendendo in campo. Ieri di fronte all’Ecuador ha fatto capire che il calcio vero è ancora lontano a quelle latitudini.

© Riproduzione riservata