A lla guerra delle bombe si è aggiunta ufficialmente la deflagrazione della guerra del gas. La prima vittima dell’invasione russa è stata l’Ucraina. Ma dobbiamo sapere che la prima vittima del secondo conflitto è l’Italia, che dipende al 46 per cento dai tubi di Gazprom (affiancata in questa delicatissima posizione dalla Germania).

Se vi state chiedendo come mai il conflitto si allarghi e si aggravi, in queste ore, anziché andare verso una risoluzione, la risposta è molto semplice. Questa guerra, nel cuore dell’Europa, tortura vittime civili, fa strage di innocenti e di bambini, ma conviene anche a molti. Se vi state chiedendo come mai l’Europa non abbia ancora individuato un mediatore di pace, tra i suoi tanti leader - per esempio - la risposta è la stessa: molti stanno alla finestra per vedere cosa accade. Tuttavia sia i russi che gli ucraini, in questo momento, per motivi diversissimi, pensano di poter uscire vincitori dal conflitto. La Russia di Putin, che ha irresponsabilmente scatenato la guerra, sta ottenendo un beneficio diretto e immediato, in primo luogo dalla crescita vertiginosa dei prezzi di tutte le sue esportazioni di materie prime, energetiche e non. Addirittura, sta vendendo gas anche alla nazione che ha invaso. E ha parato la svalutazione del rublo creata dal conflitto - per ora - con la mossa del pagamento obbligato del gas in valuta nazionale.

Il Cremlino - in queste ore - è certo di poter assorbire il colpo e il peso delle sanzioni, per paradosso, proprio per via dell’arretratezza e dei tanti elementi autarchici della sua economia.

I russi sono anche certi, sul piano militare, che alla lunga il disvalore tra il loro esercito e quello di Kiev produrrà una vittoria sul campo. E di potersi sedere al tavolo della trattativa - dunque - da una posizione di forza. Ma anche gli ucraini, in questo momento, hanno molti elementi per immaginare una vittoria di Davide contro Golia: aiutati militarmente dall’Occidente sono riusciti a respingere il nemico e ad infliggerli enormi perdite, hanno costretto i generali russi a rivedere le loro strategie, sono riusciti persino a portare un contrattacco in territorio nemico.

Ma poi questa guerra conviene agli Stati Uniti di Joe Biden, che hanno ristabilito il loro primato dopo la catastrofica disfatta del ritiro dell’Afghanistan. L’America oggi recupera il suo ruolo di guida dell’Occidente e diventa addirittura il primo fornitore di gas liquefatto, un prodotto che aveva dei prezzi assolutamente non competitivi con quelli del gas proveniente dalla Russia. Risorge la Nato, di cui non un gruppo di sparuti pacifisti, ma molti esperti militari, avevano dichiarato la non utilità dopo la fine della guerra fredda. Risorge l’industria delle armi, che nel tempo della crisi, accentuata dalla catastrofe del Covid, diventa la spina dorsale delle economie nazionali. L’obiettivo del 2% di bilancio dedicato alla spesa bellica, che due terzi dei Paesi alleati si rifiutavano di pagare, è stato votato dal parlamento italiano dopo anni di non osservanza. E ci guadagnano, in Giappone e in Germania, tutti coloro che dopo settant’anni volevano far cadere il tabù della demilitarizzazione dei due più importanti eserciti della seconda guerra mondiale. Hanno poi guadagnato tutti i Paesi produttori ed estrattori di petrolio, a partire dal Venezuela, che in poche ore è passato dal rischio bancarotta, e dall’epiteto di “Stato canaglia”, al riconoscimento di essere un “Paese importante”, persino per il tradizionale nemico americano. Ci guadagnano tutti gli emiri e gli sceicchi dell’Opec che per gli stessi motivi aumentano senza muovere un dito il valore dei loro barili di greggio. Guadagnano - e bene - anche i grandi produttori di carne di Argentina e Sudamerica, che hanno rivisto le tariffe al rialzo. Rischiano l’industria italiana, gli agricoltori, tutti i produttori di un Paese - il nostro - che non ha materie prime, e si limita a trasformare.

In questo deserto di cinismo e opportunismo, abbiamo bisogno di carisma e di leader. Di qualcuno che non gira lo sguardo, per fare il conto di cosa gli conviene. In questo scenario in cui pesano i rapporti di forza è una splendida eccezione il Papa. Che, se riuscirà ad andare a Kiev, darà uno schiaffo a Putin e a tutti coloro che da questa guerra sperano di guadagnare. Magari pensando irresponsabilmente: basta che duri ancora un po’.

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