C i sono decisioni che vengono prese senza accorgersi, trascinati da movimenti sovraordinati o da maree a bassa intensità, e che tuttavia producono conseguenze che modificano non solo la scenografia storica, ma anche la vita di miliardi di persone. Mi riferisco qui alla creazione di muri (non devono essere per forza fisici come la cortina di ferro comunista o i 1.300 chilometri di barriera Usa col Messico), a cui, da un certo momento in avanti, abbiamo iniziato a dedicarci con uno zelo certamente non ben soppesato in termini di obiettivi.

L a svolta è avvenuta nel febbraio 2021, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, nella quale Biden ha fatto il suo esordio in Europa riprendendo il manicheismo di Hillary Clinton: «Ogni nazione dovrà essere con noi o contro di noi». Biden ha espresso un atteggiamento estremamente granitico verso Russia e Cina, e ha riaffermato la Nato (sino al giorno prima giudicata obsoleta dallo stesso Macron) come alleanza transatlantica che «dovrà affrontare le grandi sfide globali come le attività destabilizzanti, la minaccia del terrorismo, gli attacchi informatici e la prolificazione nucleare». Ha inoltre bandito qualsiasi relativismo o spinta centrifuga e qualsiasi accordo bilaterale “col nemico” (come nel caso dei gasdotti Nord Stream, non a caso fatti esplodere nel settembre 2022 dagli stessi americani – si apprende oggi). Da quel momento l’America ha rispolverato la vecchia politica dei blocchi contrapposti e della guerra fredda, riaffermando il Destino Manifesto statunitense e mettendo gli alleati (in primis i tedeschi che avevano cercato di avvicinare la Russia all’Europa) di fronte a una scelta drastica.

La leva utilizzata è ancora una volta la discriminante valoriale: si contrappone il sistema liberal-democratico, un dogma mai discutibile neanche a Guantanamo, contro i totalitarismi in genere e le carenze di diritti umani. Questo indipendentemente dal grado, dal contesto e dal momento, in teoria, mentre in pratica alcune barriere, come quella ad esempio col Venezuela sono state da Biden elegantemente cancellate per ragioni di forniture.

La conseguenza a cui noi tutti occidentali siamo stati ricondotti è, come detto, la costruzione di muri verso chi non rientra negli indiscutibili protocolli. Oltre la Russia e l’Iran, per ovvi motivi, non passa giorno che i media non si scaglino contro la Cina, vero bersaglio, oggi il Qatar, ecc. Si sottovaluta il consequenziale riavvicinarsi di tutti quelli che non concordano con la centralità statunitense e col diritto occidentale di guidare il mondo con meno di un miliardo di persone e imporre il proprio modello a oltre 7 miliardi di anime diverse. È emblematico che la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti si scagli contro la Fifa per la sponsorizzazione dei mondiali fatta dal fondo per lo sviluppo del turismo in Arabia Saudita: i muri in costruzione riguardano infatti anche sport, cultura, turismo, salute. A niente valgono gli avvertimenti storici: l’alleanza più stretta tra Russia, Cina e India dovrebbe mettere sull’avviso, ma ormai tutte le potenze di seconda fascia (ricordo Turchia e Pakistan ad esempio) esprimono la diffusa opinione che, essendo i Paesi occidentali i più ricchi, viziati e colonizzatori, voler “esportare la democrazia con la forza”, un ossimoro, e senza sanare le diseguaglianze, non sia proponibile.

Chiariamoci gli obiettivi, cosa vogliamo? Sottomettere il mondo per imporre la nostra visione elitaria? Costringerlo con la forza, con duelli all’OK Corral, costi quel che costi? Marginalizzare tutti quelli che non la pensano come noi (avviene sistematicame nte anche in Italia) e gestire decine di focolai diversi con la potenza delle nostre armi? Valga l’esempio dell’Afghanistan per tutti gli sfasci già combinati: vent’anni di guerra per abbandonare poi alla morte quanti avevano creduto nell’Occidente. E noi europei immaginiamo davvero di arrivare a vivere in un Eliseo chiuso, autosufficiente, verde e beato come nei sogni della Von der Leyen?

Chiedo: non sarebbe invece il caso di abbattere quanti più muri possibile, di dialogare e mantenere aperti i contatti? Di investire nella pace e nella cultura (sarebbe il ruolo dell’Europa), non nella guerra?

© Riproduzione riservata