D all’avvento dei social network in poi, il numero di persone con le quali ci relazioniamo quotidianamente è cresciuto a dismisura e, nel caso delle nuove generazioni, è addirittura centuplicato. La frammentazione che ne consegue non riguarda soltanto il tempo che possiamo dedicare a ogni singola persona, ma soprattutto l’attenzione e la cura che a ciascuno può essere assegnata. Il risultato è la mancanza cronica di profondità in una moltitudine di relazioni interscambiabili che iniziano e finiscono con una rapidità sempre più straniante e caleidoscopica.

A un amico in difficoltà ho scritto un messaggio ricco di spunti e consigli. In risposta, ho ricevuto una faccina con due mani protese a mimare il gesto di un abbraccio. Una maniera primitiva di esprimere il proprio pensiero: come se le parole non fossero più necessarie. Mi è sembrato di trovarmi davanti a un semaforo. Rosso: non si passa. Verde: via libera.

Le parole sono diventate una perdita di tempo: tanto che, nel mondo dei social, la non risposta è già, di per sé, una risposta. Ignorare un messaggio è diventato un atto pienamente sufficientemente a testimoniare disinteresse per quanto proposto. Perché perder tempo a elaborare una frase che ne spieghi le ragioni?

Viviamo, ormai, sommersi da continue notifiche che ci aggiornano sull’evolversi di centinaia di vite. Basta che mi colleghi a Instagram per venire a sapere che Roberto si trova a Zurigo in una camera d’albergo con vista lago, che Tonina ha comprato un nuovo paio di pantaloni che, però, le stanno stretti e dovranno essere resi, che Giovanni è stato per l’ennesima volta nella discoteca “Le Carillon” di Portofino, che a Sassari ci sarà la duecentesima presentazione del libro di Matteo e che Sabrina, oggi, ha fatto una torta meringata. Mattia, nel frattempo, ha pubblicato un articolo su un giornale, Antonio si è tuffato da uno scoglio alto quindici metri, mentre Ivan è caduto dalla bicicletta e mostra con orgoglio la foto del sangue che gli cola lungo la gamba.

C’è poi il quotidiano resoconto di un giovane cui è stato recentemente trapiantato un rene: lo avevo conosciuto due anni fa, durante un breve viaggio in treno, e, oggi, apprendo che il catetere fa più male di ieri, ma per fortuna gli esami del sangue rivelano parametri soddisfacenti. Ecco: adesso ho visto tutto ma dentro di me non è rimasto niente. Troppe informazioni, troppi aggiornamenti. È tardi, devo cominciare a lavorare. Non ho tempo di interagire con ciascuno. Anche perché, assai probabilmente, in risposta all’impegno profuso riceverei - alla meglio - l’immagine di due mani giunte a significare una gratitudine che, evidentemente, non è più necessario esprimere ma soltanto testimoniare graficamente.

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