O gni essere vivente, uomo compreso, ha la capacità di trarre insegnamenti utili per il futuro anche dagli eventi più nefasti. È così che gli animali hanno sviluppato i loro istinti primordiali, è così che l’uomo migliora la sua esistenza. Bene, sembra che la pandemia scatenata dalla diffusione del Sars-Cov-2, e tutt’altro che finita nonostante l’allentamento delle misure di sicurezza, non abbia insegnato niente a chi governa l’Italia.

La notizia è passata quasi sotto silenzio: le Usca, le unità territoriali incaricate di assistere i malati di Covid-19 a domicilio, stanno per essere smantellate. Quattordicimila persone tra medici e infermieri potrebbero essere liquidate in quattro e quattr’otto. I buoni propositi espressi in piena pandemia sono già stati accantonati.

Si torna al recente passato pre Covid: la sanità intesa come costo e non come investimento utile per lo sviluppo del Paese del quale la salute dei cittadini è parte integrante.

La devastante comparsa del virus ha messo a nudo l’arretratezza del Servizio sanitario nazionale (al Sud e nelle isole in particolare) provocando il precipitare dei livelli minimi di assistenza. Nell’emergenza, sono stati sospesi i servizi ambulatoriali, gli interventi chirurgici, gli accertamenti strumentali, le diagnosi, le cure. Il virus in Italia ha provocato sinora 163 mila morti. Non abbiamo alcun dato credibile di quanti diabetici, cardiopatici, malati oncologici siano deceduti a causa del crollo dell’assistenza. Presumo decine di migliaia.

D urante i duri mesi del lockdown si sono sprecate le parole: basta tagli alla sanità, potenziare l’assistenza territoriale, eliminare le sacche di arretratezza. Riemersi dagli abissi della pandemia, il vento ha portato via le parole. Liquidare le Usca (ne erano state previste una ogni centomila abitanti, seicento in tutta Italia) significa non aver fatto tesoro della lezione impartita al mondo dal Covid-19. La sanità ha assoluto bisogno di essere capillarizzata nel territorio. Dovrebbe essere creata la figura dell’infermiere scolastico e di paese (di quartiere nelle città), aperti i poliambulatori, diffusi i servizi, coinvolti i medici di base, lasciando agli ospedali il trattamento solo delle cosiddette “acuzie”, cioè le malattie in fase acuta che possono essere trattate solo nei reparti specialistici. Ciò significherebbe, tra l’altro, allentare la pressione sui pronto soccorso, dove le attese di oltre quattro ore sono la norma. Invece, nelle pieghe della relazione tecnica allegata alla legge di bilancio, si intuisce che dal 2023 saranno previsti 300 milioni di tagli all’anno alla spesa sanitaria. Già in Italia le risorse impiegate in questo settore sono inferiori rispetto ai Paesi più sviluppati. Nel 2020 l’Italia riservava alla sanità il 7.5% del Pil; nel 2021 la quota è scesa al 7.3%, meno di Stati Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Canada e Nuova Zelanda. E non apriamo il capitolo degli sprechi che farebbe capire quanto realmente dei circa 127 miliardi di euro all’anno sono utilizzati per la salute dei cittadini e non per macchinari costosissimi lasciati poi inutilizzati negli scantinati degli ospedali. Il Governo spiega che i 300 milioni annui risparmiati saranno sostituiti dalla riorganizzazione e dalla digitalizzazione. Ma voi ci credete? Ora che la fase emergenziale è superata, il Governo nazionale e quello regionale avrebbero do vuto avviare un’opera profonda di riforma della sanità pubblica, con investimenti, concorsi, assunzioni di medici e infermieri, miglioramento delle condizioni di lavoro del personale per prepararsi a una tutt’altro che improbabile nuova pandemia. Invece, le forze sono concentrate nella solita lotta di potere, con nomine avventurose, per non dire contra legem, sgarbi, ripicche, invidie, assunzioni clientelari. La riforma sanitaria della Giunta arranca, tempo un paio di anni, il tempo di andare alle prossime elezioni regionali, e il nuovo governatore avvierà l’ennesima riforma sanitaria, così come è accaduto con tutti i precedenti esecutivi, che non serve realmente per migliorare le cose, ma per dare il via alla girandola dei commissari e nominare gli amici.

Si continua a ballare sul Titanic della sanità che corre contro il prossimo iceberg.

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