N on disponibile. Il diritto alla libera circolazione dei sardi dove e quando par loro può diventare anche questo: il corollario di un gentile messaggio per l’utenza da parte delle compagnie aeree. Con una logica commerciale, un po’ come il latte di soia al supermercato o un paio di jeans in una qualunque bacheca elettronica, ciascuno scelga l’ultima volta che ha cercato qualcosa momentaneamente assente. Peccato che il diritto sia qualcosa di più di una casella barrata: qui si parla dei fondamentali, di sostanza e non di forma, di certezze inalienabili e non trattabili.

S iamo perfino al riparo dell’ombra rassicurante della Costituzione, il che dovrebbe garantire un indiscutibile e comodo accesso. E se non bastasse, il principio di insularità rientrato nella Carta a furor di popolo è il più compiuto ombrello di riferimento possibile: una volta riconosciuta la peculiarità dell’essere un’isola, ci può essere uno svantaggio più insopportabile dell’essere sequestrati dentro? E il lavoro di rimozione degli ostacoli da parte dello Stato (e di tutti gli attori a seguire), ci volesse anche un escavatore per spostarli, è davvero efficiente?

Il cuore del problema in realtà è proprio questo: siamo in prigione e non riusciamo a capire neanche chi ha le chiavi. La terra che ci sostiene è quella che amiamo e scegliamo tutti i giorni, altrimenti saremmo altrove inseriti nella dolorosa e incessante diaspora sarda. Epperò vorremmo godere della libertà di decidere ogni giorno cosa fare della nostra vita. Ci piace pensare come diritto, e non come odiosa concessione o negazione, che domani potremmo aver bisogno di andare a Milano per una visita medica, a Roma per un affare. Ancora meglio: ovunque ci pare e per il motivo che più ci aggrada. Eppure tutti sappiamo che questa è una bufala: ci muoveremo se e quando ce lo consentiranno, fine della tiritera sui diritti. Per i cultori della materia, ci sarà qualche assessore che esprimerà viva costernazione, qualche altro moderata indignazione ma la prossima continuità territoriale sarà diversa e allora sì che saremo cittadini a pieno titolo della regione Sardegna nello stato Italia. Che poi appena oltre lo stretto di Bonifacio i corsi abbiano messo in piedi col beneplacito della Ue un sistema rispettoso della (propria) insularità e immensamente migliore del nostro è poco più che un antipatico dettaglio.

Qualche domanda: visto che siamo ormai in piena trance agonistica da elezioni alle porte, sarà mica che a qualcuno viene in mente un argomento più popolare, facile, importante, di questo? Alzare la voce con Roma fino a rovesciare il tavolo con la forza dei fatti e non con sciocchezze sarebbe immensamente gradito dal popolo sardo (e anche no) universalmente considerato. Se non pare inopportuno, ci si aspetterebbe di sentire argomenti politici con toni stentorei e neanche tanto garbati. E invece colpisce la mite gentilezza con cui si interviene sul tema, l’insopportabile stucchevolezza. Siamo o no prigionieri in casa nostra e amen se sfumano business e certezze di vita dietro voli “non disponibili”? Bene, allora individuiamo i responsabili della nostra cattività e facciamo loro passare un brutto quarto d’ora, mettiamoli in mora, rispondiamo per le rime, scendiamo in piazza. Insomma, fate qualcosa.

Perfino la magistratura potrebbe decidere di saperne di più, di valutare compiutamente se e chi sta violando le regole mettendoci a forza l’abito del figlio cadetto. Qui non si suggeriscono inchieste giudiziarie ma si pongono dubbi che si possono sviscerare in tante stanze diverse: tutto questo è lecito? È sopportabile ancora a lungo? Di quale continuità territoriale si va cianciando? Gentilmente parlando, s’intende, come da regola della casa.

© Riproduzione riservata